Il sabato del villaggio: Montaldo, Salvemini, 8 settembre (e 2 Ps)
Dopo la pausa estiva (e sebbene l’estate sia ancora in itinere), si riprende con la rubrica culturale del blog, con la consueta formula dei tre argomenti principali, guarniti da qualche Ps di attualità; invece che pubblicare la domenica, in linea di massima lo si farà il sabato: sempre più leopardianamente, dunque, la rubrichetta si chiamerà “Il sabato del villaggio”.
A proposito: il 27 settembre (un mercoledì), in Sala storica della Biblioteca comunale, alle 17,30, finalmente si presenterà il libro dello scrivente: “Giacomo Leopardi Una biografia (non autorizzata)”; ne riparleremo ovviamente a lungo: i lettori interessati, per intanto, prendano nota della data…
IL DIBATTITO SULL’8 SETTEMBRE 1943
L’anniversario, tondo tondo, dell’8 settembre 1943 era a dir poco ghiotto: 80 anni dal giorno del disfacimento non solo del regime fascista, ma anche dello Stato italiano tout court; nel 1993, per i 50 anni, il dibattito era stato all’arma bianca: Galli della Loggia da una parte, con la tesi della “morte della Patria”, tutti gli altri con quella, antitetica, della “nascita della Patria”. Ne era venuta fuori una querelle storiografica di tutto rispetto: di alto livello e profilo, anche dai toni forti, di certo meno sguaiati di oggi (sarà anche stato per la non esistenza dei social, di grazia? Chissà…).
Quella data, fu il momento della scelta: o da una parte, o dall’altra, specie se maschi e giovani (la Repubblica sociale reclutava manu militari, e tanti divennero partigiani in quanto renitenti, sempre bene ricordarlo); stare alla finestra era sempre più difficile, insomma.
Per non citare sempre il sommo Claudio Pavone, citeremo oggi Ruggero Zangrandi, intellettuale di chiara matrice antifascista; ecco ciò che ebbe a scrivere, da testimone diretto, al termine del suo “lungo viaggio attraverso il fascismo”, sulla data in questione: “Quel che si vide l’8 settembre del ’43 fu che il popolo si accorse di essere solo, nella sciagura; e il solo a pagare…coloro che, per tanto, avevano imperiosamente preteso di educarlo, dirigerlo, moderandone talune aspirazioni nel nome del “superiore interesse nazionale”, scomparvero: la classe dirigente confermò la propria estraneità rispetto al corpo vivo della nazione”.
Come oggi dice anche Emilio Gentile (intervistato ieri da Ezio Mauro, ovviamente su Repubblica), quella data non fu solo lo sfaldamento del regime fascista, ma “quello di tutta l’impalcatura statale che la vecchia classe dirigente (liberale postunitaria, Ndr) aveva costruito e di cui il fascismo non era stato che la più recente incarnazione”.
In tutta franchezza, non ci pare ci sia molto da aggiungere…
GAETANO SALVEMINI, IN BIBLIOTECA
Il 19 settembre, per la ripresa autunnale degli eventi in Comunale, si partirà con l’analisi di una figura di intellettuale di enorme importanza, per la prima metà del Novecento: in occasione dei 150 anni dalla nascita (8 settembre 1873), infatti, si ricorderà Gaetano Salvemini.
Lo scrivente e Simonetta Michelotti – che di lui, come del suo discepolo Ernesto Rossi, si è occupata a lungo – ripercorreranno la vita ed il pensiero di un intellettuale – di formazione socialista e meridionalista – che ha lasciato un’impronta profonda, nell’intellettualità e nella politica del nostro Paese.
Fra le svariate cose, si tornerà di certo alla querelle fra lui e Giolitti (accusato – come noto, ma certo ormai non a tutti – financo di essere “ministro della malavita”, in un durissimo pamphlet del 1910): con le esagerazioni polemiche di Salvemini – ammesse in seguito da lui stesso, con la consueta onestà intellettuale -, ma anche con le ragioni denunciate dal meridionalista contro lo statista di Dronero. E poi il rapporto con Mussolini e con il Fascismo, con la Guerra di Libia e con la Grande Guerra (contrario alla prima, favorevole alla seconda), il rapporto con gli States (cittadinanza prima presa con orgoglio, poi nel 1954 rigettata), ed altro ancora.
E con, infine, un dato biografico che merita di essere conosciuto, perché davvero di tale drammaticità, da sembrare impossibile: nel maledetto terremoto del 1908 a Messina, infatti, Salvemini – allora 35enne – perse la sorella, la moglie e 5 figli (!). Un altro, avrebbe abdicato ad ogni idea di futuro, lui invece no: né all’impegno politico, né a quello intellettuale e civile; uomo di altri tempi, forse: in ogni caso, straordinario…
L’ULTIMO DEI GRANDI REGISTI CI LASCIA: CIAO, GIULIANO
Se ne è andato, alla veneranda età di 93 anni, Giuliano Montaldo: l’ultimo dei grandi della stagione d’oro del cinema italiano; adesso, possiamo davvero dire che quella formidabile stagione sia stata consegnata alla storia: del cinema e non solo, perché fare cinema, illo tempore, voleva dire cercare di incidere sulla società, magari mettendosi contro quello che oggi è il cosiddetto mainstream.
Pensate al genovese, e genoano, Montaldo: antifascista fino al midollo, esordisce in cabina di regia con “Tiro al piccione” (1961), con la storia – gestita in modo simpatetico – di un giovane che si arruola fra i saloini. A Venezia, suscita reazioni veementi da parte degli zdanovisti del Pci: Mario Alicata – lo ha opportunamente ricordato Mereghetti sul Corriere del 7 settembre, pag. 48 – arrivò ad ammonire il regista con un cartellino più che giallo: “con l’antifascismo non si scherza”, dimostrandosi (Alicata, ovviamente) lo stalinista settario che era sempre stato. Dopodiché, nel 1976, quando non aveva più niente da dimostrare quanto ad antifascismo militante, Montaldo firmò uno dei film cult dell’epopea resistenziale: “L’Agnese va a morire”.
Vorremmo parlare poi di “Giordano Bruno”, oppure del Marco Polo televisivo del 1982, primo kolossal internazionale della Rai, o di altro ancora: ma va da sé che non si possa non accennare a “Sacco e Vanzetti” (1971), esempio di cinema di grande impegno civile, dedicato alla memoria dei due anarchici italiani, mandati a morte negli States.
C’erano Riccardo Cucciolla (premiato per la sua magistrale interpretazione) ed un certo Gian Maria Volonté, come interpreti principali: e già questo, insieme alla regia di Montaldo, sarebbe valso il prezzo del biglietto; ma c’era soprattutto la colonna sonora, con il tandem Ennio Morricone (a comporre) e Joan Baez, a cantare: andate su Youtube, e ascoltate “Here’s to you”,riferito a Nicola ed a Bart. Allo scrivente, durante l’ascolto, continuano, ancora oggi, a venire i brividi…
Ps 1 Ci ha lasciato Umberto Ceccherini, panterino verace e pugnace: senza alcuna retorica – lo diciamo parlando di cose viste di persona, fra l’altro – contradaiolo di una Siena che oggi non c’è più; in più di altri, cosa aveva il 73enne Umberto, ex fabbro di Pian dei Mantellini? Beh, era uno dei pochi, anzi pochissimi, viventi che potevano ben dire di avere conosciuto di persona Ettore Bastianini, e di averne ripercorse – pur, certo, senza i mezzi portentosi del suo maestro – la strada. Alla sua famiglia, le più sentite e sincere condoglianze della redazione.
Ps 2 Domani, domenica 10 settembre, si celebra la Giornata europea della cultura ebraica; molti gli eventi all’interno della sinagoga del Vicolo delle Scotte, ancora parzialmente chiusa per i postumi del terremoto di febbraio; un evento da non mancare, per ricordare che, anche se ormai ridotta ai minimi termini, anche a Siena c’è una comunità ebraica.
Alla fine uno stato cos’è? Sostanzialmente è la percezione che la collettività ha delle istituzioni.
Il diverso percorso di resa degli italiani rispetto ai tedeschi o ai giapponesi racconta molto delle modalità (pregi e difetti) in cui diverse collettività possono affrontare ed adattarsi alla vita. Per molti aspetti ancora attuale
Sono molto contento che l’Eretico abbia ripreso la rubrica culturale, ne sentivo la mancanza. Sull’8 settembre credo ci sia poco da aggiungere. Spero di farcela a venire il 19 all’incontro su Gaetano Salvemini, figura che senza dubbio merita di essere fatta conoscere al meglio, ed anche di attualità: Saviano si appoggia proprio a lui, per attaccare Salvini come faceva Salvemini con Giolitti…certo che i tempi sono cambiati: diversi i politici, diversi gli intellettuali…
Una storia emblematica del caos che si verificò dopo l’armistizio è senz’altro quella di Carlo Emanuele Buscaglia, asso degli aereosiluranti della Regia Areonautica, che si ritrovò contemporaneamente con due gruppi a lui intitolati, che volavano al nord con la RSI sui Savoia Marchetti SM.79 ed al sud sui Martin Baltimore dell’Aeronautica Cobelligerante.
Infatti, mentre Buscaglia era considerato in patria disperso lungo la costa algerina, in realtà era stato salvato e preso prigioniero dagli alleati.
Così al nord, pensandolo morto, gli intitolarono un gruppo da bombardamento ed al sud, sapendolo vivo, un altro.
Una situazione a dir poco paradossale.
Quando al nord seppero che era vivo ovviamente canbiarono subito il nome del gruppo …
Carlo Emanuele Buscaglia, comunque, perse la vita il 23.8.44 tentando di decollare con un Baltimore per un volo non autorizzato.
Al nord interpretarono la cosa come un tentativo di defezione (a dire il vero la gran parte degli assi italiani erano fuggiti al nord) ed al sud, invece, rubricarono la cosa come un semplice incidente.
Quale sarà la verità? Probabilmente non la sapremo mai.
Ad ogni buon conto, dopo la guerra tra il 1984 ed il 1999 gli fu intitolato il 3° stormo “quattro gatti” di Villafranca.
In ogni caso un giusto tributo per un grande pilota.
Non so se potrò venire alla presentazione del tuo libro, ma certamente leggerò volentieri la tua biografia di Leopardi non appena sarà disponibile in libreria (alla libreria Senese?). Per quanto riguarda il cinema volevo sapere se hai visto Oppenheimer. Ciao
Cara M.C.,
purtroppo non ho ancora visto il film, del quale ho letto assai bene.
Il libro, da par suo, sarà nelle librerie – mi dice il buon Cantagalli – dalla mattina del 29 settembre; il 27, in Sala storica, ne porterò qualche copia, diciamo in “avanscoperta”…
L’eretico