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“La grande bellezza” di un grande film

- 28/07/13

 

Dobbiamo essere tutti grati a Paolo Sorrentino per il suo ultimo lavoro (cinematografico, giacchè anche di scrittore si tratta): “La grande bellezza”, infatti, è uno di quei film che, al di là delle sfumature opinabili e delle ridondanze, ha l’indubbio pregio di fare riflettere, e su cose definitive (il senso della vita e l’appuntamento con la morte, il ruolo dell’intellettualità nell’Italietta di oggi, la necessità incoercibile della scrittura ed altro, molto altro, ancora).

Il tutto, in 2 ore e venti che filano via che è una meraviglia. Lo dico da amante del cinema di Sorrentino (“Le conseguenze dell’amore”: chi l’avesse perso, colmi la lacuna!), ma amante critico ed esigente: l’ultimo lavoro, per esempio, era riuscito solo a metà (forse un terzo…). “This must be the place”, infatti, aveva lasciato un amaro retrogusto di film ambizioso rimasto in mezzo al guado.

“La grande bellezza”, dunque, vede la diegesi snodarsi tutta intorno alla quotidianità disincantata di Jep Gambardella, un giornalista che si occupa in prevalenza di spettacolo, con un passato di scrittore di successo, grazie ad una fulminante opera prima, destinata a restare tale (almeno fino alla durata del film). 65enne, fa il bilancio della sua vita, e lo trova del tutto fallimentare, nonostante il talento indubbio, sprecato nel perdersi in una vacuissima mondanità romana che, per contro, è la stessa che gli fornisce un inesauribile serbatoio di tipi antropologici.

C’è la nobiltà ridotta a macchietta di se stessa e del tempo che fu; c’è una Chiesa che alterna cardinali vanesi, egocentrici e a tutto interessati fuorché alla spiritualità, a figure di adamantina rettitudine e spiritualità (una sorta di rediviva madre Teresa di Calcutta), ma cupe e lontane anni luce dalla sensibilità contemporanea; c’è l’intellighentsia di sinistra, sbeffeggiata e vilipesa, soprattutto nella figura della 53enne scrittrice, umiliata dal protagonista nel più cinico dei modi, davanti alla cerchia autoreferenziale degli amici di sempre; c’è la volgarità senza fine della movida romana (romanota?).

Un film amarissimo, senza altra speranza, per il protagonista, che lo scrivere. Il tornare a scrivere, anzi. E con un’unica speranza per gli altri, che scrittori non sono, esternata dallo stesso Jep: volersi un po’ di bene, riconoscere i propri fallimenti, usare l’arma dell’ironia e dell’autoironia. Un approdo – a pensarci bene – quasi leopardiano: solo che nel poeta, c’era da fronteggiare l’indifferenza della Natura, qui la cattiveria della società romana (e non solo).

Sorrentino ricorda, in quest’opera, il miglior Bellocchio, quello anticlericale (non quello del prendi i soldi e scappa tipo spot Mps…); il Fellini più autentico, per certi passaggi surreal-onirici; il Nanni Moretti più graffiante, capace di smontare, da sinistra, l’autoreferenzialità dei riti stantii della sinistra stessa. E per fare questo, c’è – in cabina di sceneggiatura – il fedele Umberto Contarello, ed alla fotografia Luca Bigazzi, capace di darci una Roma a 360°, nel vero senso dell’espressione.

Poi, il cast, con a primeggiare il sontuoso Toni Servillo, ormai assurto ad attore feticcio per Sorrentino. Più un Carlo Verdone con inedito baffetto, ed una Sabrina Ferilli amara, meno solare ed appariscente del solito, nonostante interpreti il ruolo di una spogliarellista.

C’è infine Roma, con un approdo quasi sciasciano: città eterna e di folgorante bellezza, purtroppo abitata dai romani, sembra suggerire, neanche troppo implicitamente, Sorrentino. Da vivere la mattina presto, la domenica: a tu per tu, appunto, con la Bellezza.

Ps1 Per chi volesse approfondire l’opera di Paolo Sorrentino, consiglio il recente volume del senese Franco Vigni: “La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino” (Aska, 2012).

Ps2 Cameo memorando del film: l’incontro fra Jep Gambardella e Fanny Ardant, lungo una scalinata barocca, nella notte romana.

Il fascino non ha età, quando è davvero tale.

 

5 Commenti su “La grande bellezza” di un grande film

  1. margh. scrive:

    Che piacere, Raf, che finalmente sei tornato a scrivere di cinema! Noto invece che non esiste una rubrica specifica sul cinema nel nuovo blog. Secondo me la dovresti mettere.

    Che le 2 ore e 20 filino proprio via lisce..insomma..il secondo tempo l’ho trovato noiosetto. “Le conseguenze dell’amore” l’ho visto, tranquillo. Su “This must be the place” sono d’accordo con te. Tornando al film in questione, Servillo grandioso come sempre, non teme il paragone con il Marcello Mastroianni della “Dolce Vita”. Un’ icona che tuttavia rischia fortemente di recitarsi addosso e un giorno diventerà la macchietta di sé stesso. Ma mi piace. Ci sono dei primissimi piani in cui fa delle facce bellissime, ha un’ alzata di sopracciglia straordinaria (io confesso che ci ho provato davanti allo specchio, ma non riesco), dovrebbero istituire un premio speciale a Cannes per le alzate di sopracciglia. Il cast è eccezionale (ma dove li trova i quattrini Sorrentino per pagare tutta ‘sta gente?) Verdone, Fanny Ardant, Ferilli, Villoresi, Iaia Forte, Herliztka, Serena Grandi, Isabella Ferrari, e non credo nemmeno di aver detto tutti i nomi di spicco. Da aggiungere il cammeo di Giorgio Pasotti (mi c’è voluto gli argani a motore per riconoscerlo!), il detentore delle chiavi di tutte le case patrizie romane.
    Di chiara ed esplicita ispirazione felliniana, tanto per farcelo capire meglio ha messo anche la nana (non quella che cucinava Franchino nella Torre). E il solito messaggio (che però fa bene a ricordarcelo) che l’esistenza è di per sé una farsa grottesca, salvo qualche punto fermo che bisogna assolutamente difendere..come la scrittura “incoercibile (per fortuna ndr) necessità”, come hai saggiamente rilevato. Un buon lavoro in definitiva, per il quale però non sono andata matta a dire il vero. Il mio preferito resta “Il Divo” di cui ho apprezzato le brillanti intuizioni sorrentiniane. Amo credere che Giulio l’abbia visto quel film e che in cuor suo l’abbia anche apprezzato, era un uomo di spessore intellettuale notevole, capace anche di ironia e autoironia che, come dici te (o l’ha detto Jep?) è fondamentale per la salute mentale, birbo…. ma notevole; eppoi credo che anche lui abbia fatto il classico come noi (scusate ma io insisto a difendere una categoria che è stata troppo a lungo vilipesa e messa ingiustamente in un angolino, concèdimelo Raf). Grazie intanto per la lettura da te suggerita del libro di Franco Vigni (interessante il fatto che sia senese), mi procurerò certamente il suo saggio sul cinema di Sorrentino. Rilancio suggerendo invece la lettura del romanzo “Hanno tutti ragione” (feltrinelli , 2010) scritto da Sorrentino stesso, che io ho trovato straordinario. Sono sicura che non l’hai letto. Una frase su tutte pronunciata dal protagonista del romanzo, Toni Pagoda: “le esistenze sono solo tentativi, perlopiù fatti a cazzo”. La dice lunga sul sorrentiniano pensiero.

    P.S. : segnalo inoltre la regista emergente Matilde Ascheri (figlia di cotanto padre), regista e sceneggiatrice di cui presto vedremo l’opera prima “Jane St.”. Spero se ne parlerà nel blog un giorno.

    P.P.S : ..se rinasco voglio essere Fanny Ardant.

  2. MICHAEL KOHLHAAS scrive:

    Film profondo, pieno di spunti di riflessione, di quelli che ti lasciano un senso di malinconia e piacevole disagio quando ti alzi dalla poltrona del cine.
    A dir la verità concordo con Margherita: l’ho trovato a tratti molto, molto lento; per me resta di sicuro uno scalino sotto il magnifico “le conseguenze dell’amore”, del quale mi permetto di consigliare la splendida colonna sonora che spazia dalle note struggenti del violino di Pasquale Catalano a pezzi techno-pop azzeccatissimi per le atmosfere del film.
    Toni Servillo un autentico mostro sacro, attualmente il mio attore italiano preferito.

  3. Greta scrive:

    complimenti per la sua recensione che vale la pena leggere, dopo diversi commenti alquanto negativi sull’ultima opera del regista napoletano. mi permetto solo un commento personale : ne “la grande bellezza” – per fortuna- c’è la possibilità di una sorta di riscatto interiore e non solo (almeno io leggo la storia anche in questo modo); ne “l’uomo in più” (primissimo film),invece, il povero protagonista si suicida,soccombendo all'”indifferenza della natura”…..e sinceramente tra i due “finali” ancora non comprendo quale possa essere il più realistico… alla prox recensione! saluti, greta

  4. Amico T scrive:

    Concordo, Raffaele…
    Se ci si limita al cinema c. d. di massa (ma cosa vorrà dire, poi…), è probabilmente il miglior film italiano post Gomorra (quindi degli ultimi cinque anni o giù di lì…).
    Se invece si allarga un po’ l’orizzonte, qualche altro titolo di eccellente qualità nel nostro tanto vituperato cinema si trova…

  5. Anonimo C scrive:

    Complimenti per la sua recensione che mostra un grande interesse nei confronti del cinema. Aspetterò con ansia di vedere l’opera prima di sua figlia Matilde Ascheri, una grande regista e sceneggiatrice. Buona fortuna per tutto.

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