Eretico di Siena"I Promessi sposi" 2.0: Renzo Tramaglino - Eretico di Siena

“I Promessi sposi” 2.0: Renzo Tramaglino

- 20/07/14

Arrivati al secondo personaggio della ereticale rivisitazione del capolavoro manzoniano, questa domenica tocca a Renzo Tramaglino, protagonista maschile del romanzo.

Agli occhi dei lettori, appare ventenne, di mestiere filatore di seta (alla fine sarà padrone, in società, di un filatoio), orfano di padre e madre sin dalla tenerissima età; come tutti sanno, è il promesso sposo di Lucia.

Nel 1973, Pier Paolo Pasolini ebbe a scrivere di Renzo che era ” il più bel personaggio dei Promessi Sposi…, insieme con Don Abbondio e Gertrude”, arrivando financo ad ipotizzare che Renzo potesse essere “una proiezione nostalgica del Manzoni, una figura di figlio-padre quale egli non è mai stato né mai avrebbe potuto essere”, ed esaltando infine la salute e l’integrità, morale e fisica, del giovane filatore lombardo.

Da qui, vogliamo partire nell’analisi del personaggio; con l’assunto di fondo che Renzo, all’interno del Bildungsroman (romanzo di formazione) manzoniano, è capace di mutarsi profondamente, Capitolo dopo Capitolo, fino all’approdo conclusivo, in cui il personaggio si presenta – per sua stessa esplicita ammissione – molto diverso da quello che era all’inizio. Il buon senso ed il pragmatismo non scevro da idealismo dell’inizio, infatti, lascia nel 38° Capitolo spazio ad un personaggio che si rinchiude, si rannicchia nel suo egoistico (e guicciardiniano) “particulare”, abbandonando ogni residuale velleità se non di cambiare il mondo (pulsione che non gli è mai appartenuta), almeno di cercare di affermare dei sani principi di fondo contro l’ingiustizia dilagante e quasi sempre vincente. Contro i don Rodrigo della vita, insomma.

Renzo è vittima dell’ingiustizia? Non c’è dubbio: rischia di essere un autentico Enzo Tortora ante litteram. Con un paio di considerazioni, da aggiungere: il giovane filatore sa opporsi alla giustizia di piazza, con la sua barbarie (vedasi la figura del “vecchio malvissuto” e l’assalto alla casa del Vicario di provvisione); in questo, non è forse azzardato vedere in Renzo davvero un prodotto, popolare, delle riflessioni garantiste (nel senso alto del termine) portate avanti dall’esperienza dell’Illuminismo lombardo, in particolare proprio dal nonno materno del Manzoni, il Beccaria (“Dei delitti e delle pene” è del 1764).

In secondo luogo, è proprio al culmine dell’ingiustizia che subisce, che Renzo compie il suo primo salto di qualità, verso il “nuovo-Renzo” che sarà: da giovanotto inesperto e non aduso alla vita di città, a ventenne ormai scafato e dotato di una intelligente capacità di cavarsela; l’episodio è quello in cui viene tradotto in arresto dal “notaio” (allora così usava…) e dai “birri” che gli impongono i “manichini”, “ipocrita figura d’eufemismo” per definire manette lignee particolarmente dure e vessatorie (Capitolo XV): Renzo capisce al volo la situazione, e la usa a suo vantaggio, iniziando ad urlare la sua innocenza in mezzo alla folla milanese. Il notaio ed i poliziotti capiscono che è preferibile darsela a gambe, Renzo ha saputo leggere con maestria il momento: in poco tempo, nella Milano dei tumulti per il pane, ha capito che un po’ di furbizia non guasta…

Il viaggio di Renzo, on the road tra Milano e Bergamo (allora appartenente a Venezia), attraverso Gorgonzola con relativa osteria,  è da rileggere: per la maestria manzoniana, per l’amore del protagonista verso il fiume Adda (“”è l’Adda!” Fu il ritrovamento di un amico, di un fratello, di un salvatore”), ma anche per raffrontare QUEL paesaggio manzoniano a quello che è divenuto oggi. Lungi dal desiderare un aprioristico ritorno ad una dimensione seicentesca, quale scrittore – se non, forse, un fine umorista – potrebbe per esempio scrivere oggi del cielo lombardo dicendo”quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello, così splendido, così in pace”?

Per non tediare i lettori (precipua attenzione manzoniana), sebbene su Renzo così tanto d’altro ci sarebbe da aggiungere, arriviamo al sugo della (sua) storia. Cosa ha imparato, Renzo, dalla vicenda narrata nel capolavoro manzoniano? Ce lo dice – come molti ricorderanno – lui stesso, quindi non è necessario un grande sforzo esegetico:

“Ho imparato…a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzare troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi il campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possa nascere” (Capitolo XXXVIII).

L’ultimo Renzo – diciamocela tutta – è proprio una delusione, e che delusione: baratta i suoi principi (di elementare, pre-culturale giustizia) per la sua tranquillità piccolo borghese ed il suo aprioristico quieto vivere. Degli “astratti furori”, niente di niente è rimasto, se non il ricordo compiaciuto di chi l’ha scampata bella.

Ha messo su (finalmente) l’agognata famiglia, gli è nata la nidiata di cuccioli che voleva (la primogenita, si chiama Maria: toh…), lui è diventato un piccolo proprietario di un filatoio (insieme al buon cugino Bortolo), con i suoi buoni dipendenti.

Come scrisse Gian Franco Venè, in un testo certamente militante (“Il capitale ed il poeta”), ma di grande impatto anche a 40 anni di distanza:

“Il suo egoismo privato, il suo rinunciare alla vita civile e politica, una volta raggiunta la soddisfazione economica, furono raccomandati al popolo dai “manzonisti” nel previdente tentativo di tenere le masse proletarie lontane da ogni presa di coscienza politica”.

Il tanto desiderato focolare domestico, il tran tran lavoro-chiesa-famiglia era tutto ciò che Renzo desiderava, quindi: non c’era neanche bisogno di farsi rincitrullire dalle televisioni berlusconiane…

 

Ps Sempre nel finale, emerge un lato di Renzo su cui non poco ironizza il Manzoni stesso: il primo paese prescelto per mettere su famiglia, una volta sposato con Lucia, viene dopo poco abbandonato dai novelli sposi. Perché?

Poiché gli autoctoni – che tanto aveveano sentito parlare di questa giovane Lucia, in procinto di arrivare in loco – non ne erano rimasti così entusiasti (“Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s’aspettava qualcosa di meglio. Cos’è poi? Una contadinotta come tant’altre”).

Permaloso e succube dell’altrui giudizio (estetico) sulla propria moglie, il buon Renzo cambia financo paese! La famiglia Tramaglino si trasferisce dunque per i commenti poco benevoli dei vicini di casa. Chissà se ci fosse stato Facebook…

 

5 Commenti su “I Promessi sposi” 2.0: Renzo Tramaglino

  1. anonimo scrive:

    Renzo è il filo conduttore del romanzo, senza questa figura tutto risulta slegato. E’ un popolano, con delle piccole ambizioni ed anche con dei valori giovanili, via via che procede nella vita si imbatte in difficoltà reali ed impara molto, insomma si fa furbo. Il Manzoni fa dire a Renzo che non si può vivere senza difendersi nel mondo in cui vive.
    Il momento più alto è quando viene accusato di essere un capo popolo. Sta per divenire una vittima del sistema. Non che il sistema non lo sappia che non è lui. Ma vuole il trofeo da esporre al popolo perché il popolo crede ai media. Ed un patibolo è un media di allora….non mi dilungo. Oggi è lo stesso.

  2. Luca Fantuzzi scrive:

    Gentile Eretico, quella del “particulare” non è l’ultima “facile dottrina” di Renzo. Perché, come al solito, Lucia gli fa capire che i guai, anche se si scansano, a volte ci piovono in testa. L’ultima dottrina di Renzo, che poi è “il sugo di tutta la storia”, è un’altra: è una dottrina che si affida fattivamente alla Provvidenza, che accetta sì quello che viene, ma che tuttavia agisce nel mondo tramite la cristiana carità (che è la forma sublimata del vago senso di giustizia proprio del primo “Renzo testa calda”). Semmai, io in Renzo rivedo tutti quei piccoli imprenditori ex operai fattisi da soli, certo magari un po’ conformisti, certo forse troppo amanti dell’ordine costituito, ma in fondo di ottimi principi, grandi lavoratori, che hanno reso possibile il Miracolo economico italiano e che ora, da quattro-cinque anni a questa parte, l’UE e i nostri governi stanno scientificamente cercando di distruggere. Buona giornata e complimenti per la rubrica.

  3. SENESE CONTROCORRENTE scrive:

    La mentalità di Renzo non è molto diversa da quella di tante persone di oggi. Si è adattato alla realtà di allora. Aveva cercato di limitare il danno. La differenza che allora era molto difficile cambiare la situazione politica e quindi Renzo aveva una giustificazione. Oggi invece, fino a prova contraria, siamo in una democrazia e quindi possiamo, se lo vogliamo cambiare qualcosa con il voto segreto e non farsi prendere da ricatti da qualunque parti arrivi.
    Vorrei però andare fuori dell’argomento dicendo che il tuo libro “MPS connection” è fatto molto bene, se ne potrebbe trarre anche un film, è veramente realistico. Devo aggiungere però che il protagonista Lorenzo non mi è simpatico perché è come un novello Don Abbondio ed ha raccolto quello che ha seminato, quanti senesi sono in questa condizione. Io, senese purosangue, non mi sento come lui anzi mi ritengo una persona libera. Sono esodato BMPS, non sono dirigente, non ho mai chiesto favori a nessuno per esserlo, prendo un assegno dignitoso come accompagnamento alla pensione e giocando in Borsa gira e rigira guadagno più di quando lavoravo al Monte. Ho seguito i consigli di un mio collega anche lui spesso emarginato dalla dirigenza e anche lui non si è mai piegato a ricatti e offerte di favori. Che devo dire? Non frequento i luoghi di culto senese, tranne la Contrada da semplice ed umile contradaiolo. Quest’anno ho fatto la mia tranquilla vacanza in una pensione a Follonica e potevo spendere di più, ma non l’ho fatto, meglio devolvere qualcosa in più in beneficenza al volontariato. L’unico sfizio che mi toglierò sarà fare un giro tra la Romagna e le Marche, prima andrò a vedere a Ravenna la tomba del Sommo Dante, di cui ho un’ammirazione smodata, e poi passerò da Loreto per finire a Recanati a vedere i luoghi del Poeta Leopardi. Poi a Siena a vedere il Palio accettando la sorte buona od avversa che sia, i problemi sono altri.

    • Edoardo Fantini scrive:

      Ė un’illusione che in democrazia si possano cambiare le cose avvalendosi del voto. In tutti i paesi tradizionalmente democratici, l’impianto dello stato ė liberale, cioè ad economia liberista, dove ė accettato con naturalezza che si possa essere ricchi o poveri e che i primi possano sfruttare i secondi. Perciò cambia tutti i partiti che vuoi ma ti ritroverai sempre con i poteri forti (che rappresentano i capitalisti) che, in nome del liberismo, otterranno leggi a loro favorevoli dal Parlamento. Come reale possibilità di incidere, il cittadino di oggi non è tanto diverso dal Tramaglino di ieri

  4. Eretico scrive:

    Sono saltati alcuni commenti che mi pareva di avere opportunamente caricato: me ne scuso di cuore con i commentatori, e provo in giornata a caricarli di nuovo.
    Erano quasi tutti di plauso all’articolo ereticale di rilettura manzoniana, porca miseria…

    L’eretico

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