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La domenica del villaggio: il 27 gennaio, “Sottomissione” e la Archibugi

- 25/01/15

Tantissima carne al fuoco, questa domenica, per l’appuntamento culturale del blog: il nuovo film di Francesca Archibugi (“Il nome del figlio”); la Giornata della Memoria; un passaggio dell’ultimo Houellebecq proprio collegato alla condizione degli ebrei francesi e a Israele, più l’aforisma conclusivo di La Rochefoucauld.

 

27 GENNAIO: MURMELSTEIN, IL RABBINO AMBIGUO…

Fra i tantissimi contributi che la meritoria Giornata della Memoria reca con sé ogni 27 gennaio, come lo scorso anno ne segnalo uno dello storico Sergio Luzzatto (dal Sole 24 ore di domenica scorsa, pagina 27).

Contributo che ci permette di segnalare la straordinaria (nel senso etimologico) figura del rabbino anziano di Lodz, Benjamin Murmelstein. Luzzatto ci illustra gli esiti di una intervista che il celebre documentarista francese Claude Lanzmann (autore del monumentale “Shoah”, 1985) dedica al rabbino polacco, sopravvissuto all’Olocausto e venuto con la famiglia a Roma negli anni Settanta, “accolto” dagli ebrei romani con la massima diffidenza, per la sua posizione in qualche modo collaborazionista con i nazisti.

“L’ultimo degli ingiusti”, è il titolo – volutamente provocatorio – di questo lavoro di Lanzmann.

“Secondo Murmelstein, Murmelstein ha sempre ragione”, sostiene icasticamente Luzzatto dopo avere visionato l’intervista.

Il rabbino capo di Lodz contribuì ad abbellire il campo di concentramento di Theresienstadt, per gettare fumo negli occhi alla Croce rossa internazionale in visita? Il rabbino lo ammette, ma dice di averlo fatto pro bono pacis degli ebrei lì rinchiusi.

Allestiva, insieme alle SS, i convogli verso i lager polacchi? Sì, ma cercando di limitare i danni ed il numero degli ebrei coinvolti.

Conclusione dello stesso Murmelstein, perfetta per rendere la complessità del ruolo in QUEL determinato contesto:

“Un decano degli ebrei può essere condannato. Anzi, deve essere condannato. Ma non può essere giudicato, perché nessuno può mettersi nei suoi panni”.

 

HOUELLEBECQ E LA STUDENTESSA EBREA

In attesa della presentazione senese del libro (sala dei Mutilati, mercoledì ore 17,30, organizzata dalla libreria Senese: presenti lo scrivente e l’Imam colligiano Abdel Qader Mohamad), iniziamo ad entrare in medias res con l’ultimo libro di Houellebecq.

Ed iniziamo col dire che “Sottomissione” è un libro certo sull’Islam, ma anche su molto altro: sul declino esistenziale dell’autore (il romanzo è fortemente autobiografico), sulla Letteratura in generale e su Huysmann in particolare. Ma anche sul Cristianesimo e – per non farsi mancare niente – sull’ebraismo.

Fra le figure di contorno a quella autobiografica, si trova la figura della studentessa di origine ebraica Myriam: una delle tante studentesse che l’alter ego dell’autore – nel libro, professore di Letteratura francese alla Sorbona – si porta a letto; all’inizio del romanzo, lei si dichiara innamorata di lui, poi – vista la situazione in Francia – la famiglia decide di lasciare Parigi per Israele.

Dite voi se questo passo non è profetico: il libro è uscito in Francia il 7 gennaio, ed il 9 c’è stata la strage all’ipermercato kosher (4 morti, in quanto ebrei).

“Poteva sembrare strano, diceva (Miryam, Ndr), lasciare un paese – la Francia – temendo di corrervi IPOTETICI pericoli, per emigrare in un paese dove i pericoli, invece, non avevano nulla di ipotetico…

Era strano, sì, ma una volta lì si cominciava a capirlo, perché Israele era in guerra sin dalla propria origine, lì gli attentati e gli scontri sembravano per certi versi inevitabili, naturali, e comunque non impedivano di godersi la vita” (pag.142).

Dopodiché, Houllebecq – con una incursione che gli appartiene in tutto e per tutto – inizia a descrivere i glutei della giovane studentessa, con gli effetti che in lui provocano…

 

“IL NOME DEL FIGLIO”: l’ARCHIBUGI APPRENDE LA LEZIONE DI SCOLA

 

Ben sceneggiato, ben recitato: ecco i due ingredienti chiave dell’ultimissimo film di Francesca Archibugi.

Rifacimento di una pièce teatrale che a Parigi, nel 2010, sbancò i botteghini (“Le prénom”), il film dell’Archibugi è dunque ben scritto (da lei stessa e da Francesco Piccolo), e si capisce subito che quello è un ambiente che i due conoscono a menadito; in più, con opportuna umiltà, l’Archibugi riconosce il suo grande debito al grandissimo Ettore Scola de “La terrazza” (ma non solo).

Sul Fatto di oggi, in una lunga intervista concessa a Malcom Pagani, arriva a dire che “Siamo tutti debitori a Ettore Scola. Alla sua ironia. Al suo sapere costruire meccanismi comici e feroci, che sfiorano e a volte superano la perfezione”. Chapeau.

Con un appunto: vedere la coatta, volgare Simona (Micaela Ramazzotti), moglie del figlio ricco ma di opposte idee politiche (uno smagliante Alessandro Gassman), come l’unica – con la sua semplicità – che riesce a capire gli altrui sentimenti, è un pochino da politicamente corretto (nel momento in cui ce ne si vorrebbe emendare); proprio il maestro Scola ci ha insegnato che i borgatari romani, in quanto tali, non sono necessariamente poveri ma ricchi di interiorità, no?

Gruppo di famiglia in un interno, sul filo dei flash-back, tra feroci litigate, frustrazioni pluriennali, indicibili ed inaspettabili coming out: tutto all’interno di una famiglia della sinistra  anni Settanta (di origine ebraica, tra l’altro: i Pontecorvo).

L’Archibugi mette in particolare ridicolo Sandro (Lo Cascio): intellettuale di una Sinistra che si è ormai smarrita dietro alla compulsività del tweet frenetico (alluderà a qualcuno?).

Con la doppia rivelazione finale: Sandro entrò all’università in quanto raccomandato (in quanto marito della figlia del deputato Pontecorvo), e da più di un anno non consuma il matrimonio con una sfiorita e frustratissima Valeria Golino. Un nuovo Stefano Satta Flores, che insegna Ariosto invece di formarsi sui sacri testi marxisti-leninisti, cinguetta in continuazione, ed arriva financo a definire la povera Ramazzotti come la “incarnazione della disfatta di questo paese”. Da che pulpito…

Antropologicamente parlando, non ci resta che piangere, dunque: come dare torto alla Archibugi, in questo caso?

 

LA FRASE DI LA ROCHEFOUCAULD

“La virtù non andrebbe così lontano se la vanità non le tenesse compagnia”.

 

Ps L’appuntamento con il libro della settimana dedicato alla Grande Guerra, per la coincidenza con il 27 gennaio, è rimandato alla prossima “domenica del villaggio”.

4 Commenti su La domenica del villaggio: il 27 gennaio, “Sottomissione” e la Archibugi

  1. casmar scrive:

    Caro Eretico,
    non hai letto l’articolo riportato da Dagospia che riguarda Mons. Bonicelli ? Eccolo, se ti fosse sfuggito:
    http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/what-ior-name-schiaffo-vaticano-svizzera-toglie-segreto-93124.htm

  2. Anonimo scrive:

    Gran bell’articolo, caro Eretico!
    Ti dirò una cosa: mi fai venire sempre più voglia di venire alla presentazione del libro di Houellebecq…

  3. Fede Lenzi scrive:

    Sul film della Archibugi: che tristezza! Ma c’è proprio bisogno di scopiazzare i film francesi di successo? Mi sembra un’operazione culturale veramente miserrima. Non ho visto il film e con tutta probabilità non lo vedrò, ma mi è bastata una scena con Gassman che fa un battutone sulle misure mirabolanti del nascituro per farmi prendere dallo sconforto, per sentire quell’odore di stantio, di teatrini di provincia, con la Golino che è verosimile quanto un beach party in Alaska. Insomma, già si era fatto Giù al Nord, che per ragioni di scuola ho pure visto, ed era una cagata inenarrabile se si era visto l’originale. Ma almeno non aveva pretese. L’Archibugi invece… Liliana Cavani de noantri! Ma per chi li famo sti film, per chi non capisce il francese? La trovo un’operazione culturale abietta e esecrabile, e qui chiudo.

    http://www.youtube.com/watch?v=FX2ukwKgWlo

  4. Fede Lenzi scrive:

    Mi sorge un dubbio Eretico… finirò mica censurato sulla Archibugi?

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