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La domenica del villaggio: Morricone, San Prospero, Turchia

Eccoci giunti al nostro consueto appuntamento cultural-domenicale del blog, con tre argomenti principali e Ps vari; si parte con un ricordo del maestro Ennio Morricone, scomparso quasi una settimana or sono; dipoi, una riflessione – fra Storia, Religione e Geopolitica – sull’attuale Turchia; per concludere, nella rubrica del camminatore, restiamo al confine fra l’intra e l’extra moenia, presentando San Prospero (alta), in vista di un appuntamento che si svolgerà in Fortezza giovedì pomeriggio (bastione San Domenico, ore 18).

MORRICONE, UN LUTERANO A ROMA

Aveva una capacità di dedizione al lavoro, di etica della sua professione – unita ovviamente ad un talento incommensurabile – da fare dire di lui che, pur romano di Trastevere e cattolico praticante (non è una endiade da tempo), è stato un autentico “luterano a Roma”; tra l’altro, all’interno di questa sua dedizione alla causa professionale, per essere al meglio era solito camminare per almeno un’ora al giorno, all’interno sua grande casa all’Eur (un precursore dei tempi da lockdown, verrebbe da dire…).

Una settimana di elogi – mai abbastanza meritati -, conditi dalla solita retorica di occasione, fino all’onta di essere ricordati da una paginata intera di Walter Veltroni (sul Corriere della sera di martedì), con conseguente dirottamento di Maurizio Porro – che avrebbe avuto da dire molto di più di Veltroni – su una inutile intervista alla Sophia nazionale, a proposito del suo rapporto con il Maestro.

Ricordare Ennio Morricone, vuol dire ascoltarne i capolavori, e gustarli, godendone goccia da goccia; andiamo al sodo, con una domanda davvero delle cento pistole: quali sono le tre colonne sonore migliori? Per lo scrivente, in senso crescente: “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (di Petri, 1970, con un Volontè superlativo); “Sacco e Vanzetti” (di Montaldo, 1971), con la hit di Joan Baez “Here’s to you”, da brividi; infine, “The mission” (1986, Joffè): quella che, forse, era la più bella per il Maestro stesso. Indimenticabile.

Ah già, poi ci sarebbero “Gli intoccabili”, “Nuovo cinema Paradiso”, “Novecento”, “C’era una volta in America”, e prima la cosiddetta trilogia del dollaro con Sergione Leone: ma in tutta franchezza, non riteniamo umanamente possibile che dal genio di una sola persona possa uscire tutto questo ben di Dio, non lo riteniamo proprio possibile; e lo salutiamo con queste parole: “Mi piacerebbe che ci trasformassimo tutti in dei suoni. In fondo, se in origine eravamo dei suoni, mi pare bello che torneremo ad esserlo”. Ennio Morricone dixit.

LA TURCHIA DI ERDOGAN E QUELLA DI ATATURK

Nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica mondiale – attenta solo al coronavirus o nemmeno a quello: siamo in estate, no? -, il dittatore turco Erdogan sta compiendo un autentico sacrilegio di fronte alla Cultura, dunque all’Umanità: dal 24 luglio, Santa Sofia da museo – come l’aveva voluta un certo Mustafa Kemal, detto Ataturk, nel 1934 – tornerà ad essere una moschea, dopo essere stata per secoli una delle chiese più importanti della Cristianità. La demolizione della Turchia laica ed occidentale plasmata da Ataturk è ormai di plastica, geometrica evidenza.

Quando ci andai, mi ricordo che – mentre facevo la coda per entrare -, avevo l’adrenalina addosso: stavo per entrare in uno dei luoghi più carichi di senso storico del mondo, era un appuntamento che mi vergognavo di avere mancato, fino a quel momento; e devo ammettere che, guardando i medaglioni con le scritte inneggianti ad Allah ed i nimbar installati nel post 1453 (dopo che Maometto II aveva fatto sua Costantinopoli), quella fu una delle volte in cui, crocianamente, mi sentii fortemente dalla parte cristiana della trincea.

Vergognandomi per la IV crociata del 1204, onta fra le onte della Cristianità, ma anche un pochino, sotto sotto, dispiacendomi che il nostro Enea Silvio si fosse ammalato e fosse morto, ad Ancona, in quel 1464, con la flotta già pronta per veleggiare su Costantinopoli, per ridarla all’Occidente cristiano.

In ogni caso, mentre in Occidente abbiamo i neotalebani che i monumenti li buttano giù, il dittatore turco, da par suo, si appropria, furbescamente ed ulteriormente, di ciò che era “solo” un museo: differenze fra Occidente ed Oriente, suvvia.

LA DOMENICA DEL CAMMINATORE: SAN PROSPERO, UN SECOLO DOPO

In attesa di tornare ad allontanarsi da Siena per passeggiate nel verde, ed al contempo per lanciare lo stimolantissimo evento di giovedì prossimo in Fortezza con Marina Gennari ed il buon Gabriele Maccianti (ore 18, bastione San Domenico per Vivifortezza), oggi la nostra rubrica ci porta a ricordare un luogo pregno di significati, per la città: da un secolo esatto, esiste San Prospero, giacché il bastione delle mura verso l’omonimo colle fu abbattuto domenica 16 maggio 1920, con immaginabile concorso di autorità e di pubblico (Sindaco era Emanuello Pannocchieschi d’Elci, illo tempore). A proposito di Gabriele Maccianti, visto l’argomento trattato, cogliamo l’occasione per ricordare che il suo “La lenta corsa del tempo Siena di fronte alla modernità tra XIX e XX secolo” (Il leccio, 2006) – recensito a suo tempo dal blog -, resta il volume migliore per approfondire la conoscenza di questa parte di Siena.

Non so quanti dei lettori ci abbiano mai pensato, ma San Prospero (compresa la parte più bassa, assai posteriore), con il suo a tratti sgargiante liberty, con il suo fare il verso ai quartieri della middle o upper class inglese, non ha neanche un luogo di culto, al suo interno (e non aveva – cosa solo in parte modificata – neanche tante attività commerciali, un secolo or sono): scelta consapevole, voluta, per cercare di creare non un quartiere satellite (per quanto tecnicamente extra moenia), fuori dal tessuto urbano, ma un collegamento con la città murata, la quale in quel maggio di un secolo fa per la prima volta si apriva, in modo organico e compiuto, verso l’esterno.

Anche oggi, nonostante il troppo traffico, camminarci è un piacere, specie in queste mattine estive, prima che il solleone conquisti il campo; anche perchè è la toponomastica che rende unico il luogo in questione: Risorgimento e Grande Guerra a farla, ovviamente, da padroni. Portateci i vostri figli, fino a quando ce la fate ad avere voce in capitolo: camminare e raccontare nomi di battaglie e di personaggi ormai usciti dall’immaginario popolare (Enrico Toti? Chi era costui?) è cosa tanto bella, quanto formativa. E che dire del Parco delle rimembranze? Lì si può abbinare Leopardi ai caduti per la guerra del 1915-1918, con i lecci a loro stessi dedicati: ma a quel punto, probabilmente, i pargoli sono già scappati…

Ps 1 Giovedì scorso, nuova presentazione de “Il professor Ugo Popolizio” in Fortezza; fra i vari spunti, Achille Mirizio ha tirato fuori che oggi, in qualche modo, viviamo in una civiltà dell’immagine, un pò come nel Medio evo. Spunto su cui meditare, con la doverosa aggiunta di uno dei tanti intervenuti, il quale ha opportunamente guarnito il tutto, dicendo che nella Middle age c’era una massa di analfabeti da indottrinare, mentre oggi l’aggravante della scomparsa dell’importanza, del peso specifico della parola scritta consiste nel fatto che accade in una epoca di alfabetizzazione di massa.

Ps 2 Srebrenica (Bosnia), 11 luglio 1995: il più devastante massacro di civili (bosgnacchi, ergo musulmani) in Europa, dal 1945 ad oggi; ci permettiamo di aggiungere che in quell’occasione l’Europa – come spesso le accade – ha dato il peggio ed il meglio di sè: nessuno degli olandesi (quelli che sono sempre con il ditino alzato, eh) presenti in loco mosse un dito, quel giorno, favorendo sfacciatamente la mattanza guidata da Ratko Mladic; al contempo, il Tribunale internazionale, dopo estenuanti lungaggini, giocandosi al meglio la partita diplomatica con la Serbia, è però riuscito a condannare lo stesso Mladic (nonché Karadzic) all’ergastolo. In grave ritardo, ma Giustizia, almeno in parte, è stata fatta.

Ps 3 Oggi è domenica, quindi niente politica; premesso poi che ne scriviamo in settimana,con dovizia di particolari, ci rendiamo comunque conto – almeno questo, sin da subito – della gravità anche solo del pensare-proporre una estensione dello stato di emergenza, nella Italia attuale? Si fa per chiacchierare, eh, ma leggere che il mitissimo Sabino Cassese (Corriere della sera di oggi) paragona Conte ad Orban, beh insomma…

7 Commenti su La domenica del villaggio: Morricone, San Prospero, Turchia

  1. Silvia Tozzi scrive:

    Ad Aya Sofya, fatta costruire da Costantino, venivano incoranati gli imperatori bizantini. Meravigliosi mosaici hanno continuato nei secoli a testimoniare complesse vicende storiche. Fino alla nostra epoca, ad esempio, è sopravvissuto il famoso Cristo Pantocratore. Anche dopo la conquista turca del 1453, la basilica ha ospitato simboli bizantini, in una convivenza mai smentita del tutto. (Ma non dimentichiamo che i greci sono stati vittime di pogrom anche al tempo di Ataturk). Chissà se Erdogan, destinando il famoso edificio a tornare moschea, non cerchi di far passare senza troppo chiasso altri scandali di cui si sta macchiando con le repressioni di massa su giornalisti,pubblici ufficiali, politici dissenzienti, giudici. Su Radio Radicale ne parla spesso Mariano Giustino, uno dei pochi giornalisti che raccontano la realtà turca vivendoci dentro.

    • Eretico scrive:

      Cara Silvia,
      la mancanza di spazio mi aveva autocensurato sul lato bizantino di Santa Sofia, ergo hai fatto bene ad integrare il mio scritto, e te ne ringrazio; ti aspetto – se sei a Siena – giovedì in Fortezza!

      A “Vedo nero e basta”: da quello che si è capito, pare che il dittatore Erdogan voglia lasciare aperto al flusso turistico il luogo di cui sopra: pecunia non olet, e d’altra parte anche la vicinissima Moschea blu è già aperta al turismo degli infedeli, tanto per fare un esempio. Staremo a vedere, dai: intanto, la Turchia si è ripresa la terra di Tripolitania. Giolitti si rivolterà nella tomba, sigh…

      Buona settimana a tutti, l’eretico

  2. Vedo nero e basta scrive:

    Riguardo ad Erdogan: la sua proposta oltre ad essere una grande boiata causerà per le casse turche una notevole perdita di soldi per mancanza futura di turisti all’interno di Santa Sofia. Ovviamente la richiesta di ingresso della Turchia nell’Unione Europea a questo punto dovrebbe essere definitivamente respinta dai vertici politici europei. Vedrei anche la possibile uscita a breve dalla Nato. Trump docet.

  3. Gabriele Maccianti scrive:

    Il dispiacere per la decisione di Erdogan è immenso: anche io, come tanti altri, ho un ricordo bellissimo della visita all’immenso edificio, della luminosità delle sue pareti dorate, tanto che mi apparivano leggere, anziché poderose come invece sono. Ma fuori dell’Occidente spira un vento affatto diverso, quello di un recupero, non di rado piccato e rabbioso, della propria identità e della propria storia. Non è un caso: chi è stato schiacciato o comunque costretto all’angolo dal mondo occidentale sta rialzando la testa, grazie all’indebolimento della potenza Usa e ai nuovi assetti multipolari. E chi non si riconosce nella storia dei “bianchi” la vuole mettere – a sua volta – in un angolo. Questo come constatazione, al di là dei giudizi di merito. Forse un giorno lontano gli ideali guideranno il percorso umano; oggi, come ieri e domani, risultano assai più determinanti i rapporti di forza. Teniamolo a mente.

  4. Silvia Tozzi scrive:

    Erdogan è un autocrate che fonda il suo potere su ceti e partiti nazionalisti, compresi i famigerati Lupi Grigi, accerchiando e perseguitando con ogni mezzo gli oppositori interni: non solo i curdi, anche i politici democratici che sono riusciti a entrare in parlamento tra mille difficoltà, e perfino il sindaco di Istanbul! C’è Una parte non piccola della società turca che è contraria alla riconversione di Aya Soya in moschea. E’ tutta gente che resiste lottando per i diritti civili e umani,in nome di potenzialità culturali che la Turchia ha in sé;non parlerei di idee di riscatto in funzione anti-occidentale. L’Europa purtroppo ha una sensibilità un po’attutita nei confronti di aspirazioni come queste, le più temute dai regimi autocratici, da Hong Kong al Mediterraneo.

    • Gp scrive:

      Mi ha molto colpito la storia del Grup Yorum, un gruppo folk turco apertamente schierato a sinistra a cui il regime ha vietato di suonare. Due componenti sono morti recentemente a seguito di uno sciopero della fame di circa un anno contro la censura e la soppressione delle libertà. Pur non condividendo la linea politica della band, provo una enorme tristezza e una profondissima ammirazione per questi martiri.

  5. Silvia Tozzi scrive:

    Correggo: Aya Sofya

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