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La morte di Brio

- 21/05/21

Settimana di lutti pesanti, questa che si avvia alla conclusione; di Franco Battiato, si parlerà domenica o giù di lì (segnalo un bel ricordo personale di Simone Bernini, su Wiatutti, per intanto). Di Andrea Mari, invece, si scrive subito, in attesa dei funerali di domattina in Provenzano.

 

LA MORTE DI BRIO

Manzonianamente, Siena lunedì è rimasta come attonita, al nunzio della morte di Andrea Mari: morte prematura, e violenta; una fine che non può che colpire, anche chi non ne fosse stato un estimatore aprioristico. Il poeta greco Menandro – l’abbiamo dovuto citare spesso, purtroppo, in questo blog – scriveva che “solo chi è caro agli Dei, muore giovane”, ma l’abbiamo sempre considerato un modo, pur nobile nelle intenzioni, per cercare di fare elaborare un lutto, impossibile da accettare fino in fondo a chi resta a piangere.

Certo, la morte prematura può facilitare l’ascesa verso il Mito, nell’ambito in cui si eccelle: e questo è ciò verso cui si incanala il povero Andrea Mari, scomparso, fra un groviglio di lamiere di una Porsche, a 44 anni, in un rettilineo vicino a Bolgheri – contornato da carducciani cipressi -, rettilineo che sembra fatto apposta per aizzare un amante della velocità come era lui.

Le sei carriere vinte, quelle sì che restano: dal gran finale de 2006 (Pantera, suo primo trionfo), fino a quel 2 luglio 2018, con quella vittoria nel Drago (con un’esultanza finale – lo scrivemmo tre anni fa, da queste stesse colonne, lo ribadiamo oggi – francamente sopra le righe anche per un post Palio). In questo “atomo opaco del male” in cui ci troviamo a vivere tutti, lui un’impronta importante, in quel Palio per Brio ragione di vita, l’ha lasciata.

Andrea Mari era diventato “Brio” alla vigilia della sua prima carriera, nella sua Tartuca; correva l’anno 2001, e l’allora Priore, Robertino Barzanti, aveva scelto, di concerto con il Capitano Arezzini, questo curioso soprannome – di spagnoleggiante memoria -, cercando di catturare il carattere dell’allora giovanissimo esordiente.

In un contesto di fantini che si atteggiano a calciatori di successo (anche Brio – va detto – rientrava nel novero), almeno Andrea Mari calciatore era stato sul serio, con discreto successo: un attaccante di quelli dai quali un portiere deve sempre guardarsi, mi dicono in molti. Mi piace immaginarlo, pur non avendolo mai incontrato (da quello che ricordo almeno), negli scalcagnati campi e campetti in cui si furoreggiava nei Novanta; me lo immagino, fra quelli che escono fra gli ultimi, dallo spogliatoio, prima della partita: poca voglia di fare stretching, anzi semplicemente “riscaldamento” come si usava dire una volta; però, poi, appena l’arbitro aveva fischiato, diventava di certo un subitaneo pericolo, per il portiere avversario: fino magari a bucarne dopo poco la rete, buggerando il numero 1 che si era riscaldato con lodevole solerzia, ora però costretto a piegarsi amaramente, per raccattare il pallone rotolato dentro la porta.

Andrea Mari, tra l’altro, era un punto di contatto fra aspetti solo apparentemente distanti: la città, il Campo, e la campagna; Siena, e Torri; le plurisecolari pietre, di acqua sfornite, e l’ubertosa Val di Merse (dicono fosse un frequentatore del “dighino”, per chi è pratico dei luoghi un autentico cult): non ci vedete un qualcosa che potrebbe fare pensare a quell’armonia fra intra ed extra moenia, teorizzato dal Lorenzetti?

Paul Veyne, nel suo magistrale “Il pane e il circo”, ha scritto che “il rilassamento, il gioco, le feste non sono futili eccessi da cui si possa sperare di guarire gli uomini”. Frotte di storici, antropologi, psicologi e via dicendo lo hanno testimoniato, negli ultimi decenni. Non siamo solo “animali sociali”, come ci ha insegnato Aristotile; siamo anche homines ludentes, per Zeus! Questo “maladetto virus” ha cercato di farcelo dimenticare, ma – ci pare di poterlo affermare – senza grande successo; e Brio era l’antitesi antropologica, rispetto alle chiusure ed ai lockdown. Alla compressione dell’adrenalina, alle pantofole da divano. Ci lascia adesso, proprio adesso che la primavera sembra arrivata, beffa nella beffa.

Come nei confronti di tutti coloro che hanno fatto emozionare, arrabbiare, gioire ed incazzare noi homines ludentes, quindi, a Brio si deve essere comunque grati, a maggior ragione dati i 44 anni.

E quel buon Menandro, in tutta franchezza, vada pure a farsi fottere…

11 Commenti su La morte di Brio

  1. Astrazeneca scrive:

    Il ricordo che ha fatto l’Eretico del Mari è come sempre da incorniciare: senza retorica, cogliendo alcuni aspetti del carattere del povero Mari, così prematuramente scomparso.
    Sapendo di attirarmi critiche (per questo il nickname), trovo però eccessivo che ad Andrea Mari siano stati concessi onori civici da autentico monarca della città: i fantini da “re della Piazza” ora sono “re” in tutto e per tutto? Chi li ha designati, o magari votati?
    Grazie dell’ospitalità, e complimenti a Raffaele per il blog.

    • leonardo scrive:

      naturalmente, senza elezioni o proclami, istintivamente una città intera è stata toccata profondamente. sono invece i re che hanno bisogno di elezioni e forzature

  2. leonardo scrive:

    semplicemente lo ha eletto un popolo intero…immortale nel cuore delle persone….probabilmente tanti santi onorevoli e re non sono riusciti nell’impresa. Pazienza.

  3. Astrazeneca scrive:

    Caro Leonardo, volevo semplicemente dire che si tratta di priorità: per la Siena di oggi, e non si venga a dire che decenni fa sarebbe stata la stessa cosa, il fantino è una figura di superstar, che merita onori in passato tributati a gente come Bargagli Petrucci o Chigi Saracini.
    Se va bene a tanti, non è detto che vada bene a tutti. Per me il giro di Piazza con tutti gli onori si fa a qualcuno che ha agito nell’interesse della collettività tutta, se possibile lasciando qualcosa ai futuri senesi: con il massimo rispetto, e la massima solidarietà alla famiglia, Andrea Mari ha come tutti i fantini pensato a se stesso ed alla sua carriera, più che a Siena.

    • Leonardo scrive:

      Ci ha lasciato tantissime emozioni. E a non tutti è dato il privilegio di farlo e saperlo fare. Vederlo correre in piazza è stato uno spettacolo. Probabilmente ci sono molti spettattori in teatro che desideravano solo questo per essere felici un momento. Festeggiamo sempre le scoperte le invenzioni e chi fa del bene ma perché non far festa anche alla vita, quando ne scorgiamo la bellezza….Faceva il suo lavoro ma correva anche il Palio.. E quando sei lì dentro, probabilmente diventi parte di un sogno, ricordi, emozioni..di quanti ti stanno guardando… Ti sembra poco?

    • Anonimo scrive:

      Sottoscrivo anche le virgole!

    • Billy scrive:

      Si, è tutto quello che avrei voluto dire. Aggiungendo che credo sia stata passata la misura la dove la gente ha anche avuto la capacità di indignarsi perchè gli esercenti non avevano tirato giù il bandone e la gente nn si era alzata al passaggio del feretro. Credo che la misura andrebbe sempre rispettata. Il povero Mari di sicuro non avrebbe voluto essere il motivo di cotanto sollevamento emozionale. Quindi a lui va tutta la pietas umana del caso. Ma il professor Ermini morto negli stessi giorni, così come Forzoni, o altri morti prima e dopo…non avrebbero avuto diritto agli stessi onori?

  4. Cecco scrive:

    Il povero Mari credo si sia trasformato in un simbolo suo malgrado, complice la giovane età e il modo cruento in cui è morto, di una Siena che mieteva successi ovunque e che correva a mille all’ora costretta tutto d’un colpo a fermarsi, a rinunciare temporaneamente perfino al suo amato Palio. Probabilmente insieme agli onori tributati al fantino Brio veniva, in modo naturalmete non esplicito, ricordata con malinconia una Siena che ormai non esiste più. Ecco forse spiegati gli onori “civici” di cui parla Astrazeneca.

  5. Il resiliente scrive:

    Tra i fantini degli ultimi decenni quello che meglio incarnava pregi e difetti della comunità senese.

    Più in generale il divismo dei fantini è conseguenza del mutato approccio (figlio dei tempi) al Palio: non più strumento per rinnovare un patto sociale ma evento dell’apparire individuale.

  6. quello che ha perso a Monteaperti scrive:

    La domanada è anche retorica
    tutte le morti hanno lo stesso peso?
    Diciamo che qualsiasi persona direbbe di si.
    Io non credo, per ognuno di noi la morta di un caro o di un conoscente ( specie se pramatura) ha un valore personalissimo diverso da caso a caso.
    Sono il primo a capire che le mie possono essere parole fuori luogo ma non me ne scuso in quanto è il mio pensiero
    Tra una morte sopra una porsche completamente disfatta da uno dei cipressi di bolgheri ( indicativa della velocità forse eccessiva) e una morte sul lavoro tipo quella di Luana ( episodio preso come esempio e non perchè sia quello più drammatico) il mio sentire si ribella molto di più. Detto cio, sempre che l’eretico consideri pubblicabile il post voglio specificare che non esiste una morte più importante di un altra ma il sentirla come propria che forse cambia
    Tanti caldi saluti a tutti

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