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La domenica del villaggio: Lazzaretti, 11 settembre, barbe (e 3 Ps)

- 12/09/21

Eccoci al consueto appuntamento con la rubrica domenical-culturale del blog; oggi, 12 settembre, tra l’altro ricorrono i 40 anni dalla morte di un certo Eugenio Montale, del quale ovviamente – come il poeta ligure ampiamente merita – riparleremo a tempo debito.

Nell’odierno menù, una considerazione (amara assai) sull’11 settembre, un piccolo approfondimento sulla figura di Davide Lazzaretti, la nuova rubrichina “Pubblicità regresso” (si parla di barbe), e 3 Ps per guarnire.

Domani 13 settembre, infine, per chi vorrà, in Fortezza alle ore 18 si presenta un eccellente, e dirompente, saggio del neuropsichiatra Michele Zappella “Bambini con l’etichetta”, per Feltrinelli: per gli insiders scolastici, un appuntamento da non mancare.

11 SETTEMBRE: COLORO CHE FESTEGGIARONO

Le celebrazioni per il ventennale dell’11 settembre sono andate come era prevedibilissimo che andassero: un’orgia di retorica, che speriamo almeno sia servita a fare conoscere ai giovani il tutto, e agli adulti almeno un po’ a rinfrescare (sono più colpevoli i giovani, tendenzialmente ignoranti come capre, o gli adulti, che spesso sono poco meglio?); essendoci inserti su inserti ad hoc sulla stampa nazionale, non stiamo ad aggiungere il pur non poco che potremmo, sul complesso argomento. Salvo, giusto al volo, una cosetta…

Ribaltiamo la situazione, e pensiamo per qualche attimo ai tanti che, in quelle ore di 20 anni or sono, invece che restare esterrefatti come lo scrivente e moltissimi altri, esultarono; ce ne sono di due grandi e variegate famiglie (come sono sempre le grandi famiglie, no?): chi esultò coram populo, e a favore di telecamere, come, fra gli altri, gran parte dei palestinesi (con il senescente Arafat a cercare – per interesse, forse anche con umana pietà – di mettere una toppa), i quali si diedero a bagordare sulle Twin towers fumanti; ci fu poi la grande famiglia “interna”, occidentale ed europea: l’estrema sinistra (lo ricorda per esempio Vittorio Macioce, che allora lavorava nella casa editrice che pubblicava i libri di Cesare Battisti, su Il Giornale di ieri a pagina 8), ma anche l’estrema destra, la quale, per ovvi motivi storici novecenteschi, è fieramente antiamericana.

A dirla proprio tutta tutta, ci fu anche una terza componente, non necessariamente così politicizzata: la grande massa di chi pensava all’insegna del “sì, certo che mi dispiace, ma gli americani un po’ se la sono cercata”. Ergo, questa gente, se sciaguratamente dovesse accadere un attentato in Italia (unico grande Paese occidentale risparmiato in questi 20 anni), in piena coerenza con il 2001, a quel punto dirà: “Beh, certo che  mi dispiace, ma anche noi – zerbini degli americani (vedasi Afghanistan ed Iraq, solo per fare un paio di esempi) -, un pochino ce la siamo cercata”. Ed il cerchio, così, si chiuderà..

LAZZARETTI: TRA CHE GUEVARA E PADRE PIO

A margine della presentazione della riedizione della biografia del “Cristo dell’Amiata” del cultore della materia Paolo Lorenzoni (“Uno della mia terra: il Santo e il profeta del Monte Amiata”, Innocenti editore), sia consentita qualche riflessione su una figura oggettivamente straordinaria, sulla quale mai abbastanza sarà detto (senza scendere né nella facile agiografia, né nella sterile opposizione in quanto tale).

Nella postfazione a questa seconda edizione (la prima fu nel 2015) della biografia del Lorenzoni, si approda ad un ulteriore approfondimento su quel 18 agosto 1878: in effetti, una delle primissime stragi di Stato, diciamo da Roma in su (esclusa la repressione del brigantaggio e dei vari fenomeni di resistenza antisabauda del Mezzogiorno); il Cristo dell’Amiata era sceso dal Monte Labro con 3, forse 4mila seguaci, ed appena fatto ingresso ad Arcidosso venne ammazzato con un colpo in fronte (che peraltro non lo uccise subito: l’agonia, devastante, durò dalla tarda mattinata alle 21,30), e nel parapiglia che ne seguì ci scapparono altri tre morti (di Arcidosso, ma non scesi dal monte con Lazzaretti).

Siamo esattamente 20 anni prima di Bava Beccaris a Milano, ed anche ad Arcidosso i carabinieri furono omaggiati con un pubblico encomio (solo nel 1988, Lazzaretti fu riabilitato dal Comune, e l’encomio ai carabinieri annullato); al Governo dell’Italia, per la prima volta, c’era un Presidente del Consiglio di quella Sinistra storica la quale, peraltro, tanti meriti ha avuto (la Legge Coppino sull’istituzione della scuola pubblica, creata in quegli anni e distrutta solo negli ultimi, con ciliegina finale del Covid). Eppure, non solo la repressione ci fu, ma lo Stato – con il pubblico encomio di cui sopra – volle lasciare il suo suggello, la sua firma sulla stessa. Tra l’altro, curiosità finale, agendo in piena coincidenza di interessi con la Chiesa (anche lì: dall’arcigno Pio IX, si era appena arrivati al furbesco progressista Leone XIII): anche questo, in piena controtendenza con la nota querelle nazionale fra Stato, soprattutto post 1870, e Chiesa.

Il povero Lazzaretti – il quale verosimilmente quella morte la cercava, invasato alter Christus come si riteneva – riuscì dunque a mettere, per la repressione nei suoi confronti, d’accordo Chiesa e Stato, che si guardavano in cagnesco: per quegli anni, cosa più rara che mai; cose davvero da monte Amiata, grazie a questa figura, un po’ Padre Pio, un po’ Che Guevara…

LE BARBE DELLA GILLETTE

Per la rubrica “Pubblicità regresso”, questa domenica ci occupiamo della vigorosa campagna pubblicitaria – che ha coinvolto l’attore Luca Argentero e il calciatore De Rossi, e ultimamente Bobo Vieri, però nella veste del glabro – della Gillette: “Style like a king”.

La barba lunga e folta, da qualche anno, è tornata prepotentemente di moda, e la domanda è sempre quella: è il mercato ad avere ricreato l’andazzo, o è il mercato che si adegua all’andazzo? Ah, saperlo…

In ogni caso, oggi il maschio alfa secondo questa pubblicità deve avere 7 o 8 tatuaggi spalmati sul corpo, e una barba lunga, ma al contempo curatissima, pelo per pelo (con i prodotti Gillette, si capisce, altrimenti retrocede a maschio beta); nel frattempo, pur non essendo esperti di look maschili più di tanto, ci permettiamo di fare notare che anche i talebani di nuovo imperanti in Kabul (in Afghanistan non hanno mai smesso di dettare legge), sembrano avere la barba molto, molto più curata che nei Novanta (anche le sopracciglia, tra l’altro). Il mullah Omar, loro storico leader ormai scomparso, oltre ai noti problemi oftalmologici, aveva una barbaccia ben più sgarrupata dei nuovi studenti coranici. Che Gillette ci abbia messo del suo perfino in loco?

Ps 1 Jean Paul Belmondo ci ha lasciato, in settimana; in attesa, appena possibile, di dedicargli lo spazio che merita, eccoci al volo alla domanda delle 100 pistole: la Francia ha avuto come attori simbolo del Novecento Belmondo stesso e Lino Ventura (peraltro italiano di origine), più Jean Gabin, il duro per eccellenza del bianco e nero d’oltralpe; l’Italia Albertone Sordi, Vittorio Gassman e Totò; vuol forse dire qualcosa, di grazia?

Ps 2 Nino Castelnuovo, classe 1936, ci ha anch’egli lasciato, in questa settimana; attore poliedrico (molto cinema, partendo dal Pietro Germi de “Qual maledetto imbroglio”, capolavoro tratto da Gadda, e molto altro; televisione, con l’interpretazione di Renzo ne “I promessi sposi ” di Bolchi nel 1967, lui – non Bolchi – che era nativo di Lecco), resta impresso nella memoria di una generazione per la pubblicità dell’olio Cuore, con quel salto atletico. Quante volte l’avrà provato, prima che gli riuscisse così bene?

Ps 3 Nella mattinata di oggi, è accaduto un parapiglia (niente di drammatico, eh, comunque la si guardi) fra contradaioli dell’Aquila ed alcuni ciclisti convenuti per l’odierna gara: un fatto però paradigmatico, e da approfondire. Essendo stato in giro fuori Sienina, ne scriverò in settimana, dopo averne saputo di più: come i lettori sanno, in questo blog siamo abituati a scrivere e a giudicare qualcosa, stranamente, solo dopo averla conosciuta in modo almeno decente. Per il resto, ci sono sempre i social e non solo…

8 Commenti su La domenica del villaggio: Lazzaretti, 11 settembre, barbe (e 3 Ps)

  1. MARIO ASCHERI scrive:

    ti metto Zappella in FB: non ho avuto niente!
    in compenso mi leggi almeno la parte finale di un pezzo del ’99!
    https://ilpensierostorico.com/quando-il-medioevo-aiuta-a-capire-la-nostra-contemporaneita-parte-ii/

  2. Un barbuto (non talebano) scrive:

    Molto interessante questa storia delle barbe che tornano di moda: negli anni settanta, erano simbolo, fra i giovani, di antagonismo politico ed esistenziale, ora invece è diventata una moda, come tante altre (peraltro i più peli in viso pareggiano la scomparsa di quelli sul petto, simbolo machista sempre dei settanta).

  3. Vedo nero e basta scrive:

    Il 13 settembre 1321 è la data della morte del Sommo Poeta.

  4. Paolo Panzieri scrive:

    Strade Bianche, che non è una vera corsa dove i corridori stanno tutti in un ragionevole spazio temporale, con una viabilità cittadina come la nostra semplicemente non ce la possiamo permettere.
    Tanto più con i perenni lavori in corso sia in Pescaia che in Tangenziale a complicare ulteriormente le cose e tanti turisti per fortuns ancora in arrivo.
    Ieri mattina il vero parapiglia c’è stato appunto tra Pescaia e la Tangenziale.
    Tutto bloccato per moltissimo tempo e code infinite …
    Io stesso mi ci sono trovato nel mezzo e dopo un lungo pellegrinaggio attraverso Corosncina, Porta Romana, Porta Pispini, Ravacciano e Porta Camollia, alla fine sono riuscito ad aggirare il bubbone.
    La prossima volta mi segno la data ed emigro.
    Magari vado in pellegrinaggio sul Monte Labro sulle orme di quel sanfedista eretico (soltanto perché scomunicato) di cui sopra, che qualcuno si ostina a voler arruolare trai bolscevichi ed i loro disgraziati epigoni.

  5. Vedo nero e basta scrive:

    Parapiglia Contrada dell’Aquila e ciclisti delle Strade Bianche, ambedue le parti sono innocenti. I responsabili sono quelli che hanno dato i permessi senza coordinarne l’orario ed il percorso. Se consideriamo che c’era anche il locco delle strade intorno allo stadio per la partita del Siena la frittata è stata completa.

  6. UNO DI STROVE scrive:

    Una considerazione generale, non sui fatti di domenica, dove mi pare che né gli aquilini né i ciclisti possano essere incolpati. Noi a Strove viviamo tutto l’anno a contatto con i ciclisti: portano soldi, lo sport va incentivato per tanti motivi e così via. Bene. Però va detto che molti di loro sono arroganti e scorretti, non procedono quasi mai incolonnati e rappresentano un vero pericolo, per se stessi e per gli altri. Il fatto quindi che portino soldi a palata, non li autorizza a certi comportamenti.

    • Anonimo scrive:

      Bisogna anche dire che la testa della corsa era già passata da un pezzo, e che prevedere e gestire sovrapposizioni del genere su archi di tempi dilatati è difficile per qualsiasi organizzazione. I ciclisti che si attardano sarebbero tenuti al rispetto delle norme e della viabilità, perciò pur essendo ciclista propenderei per dire che sono stati i corridori ad uscire fuori dalle righe…complimenti alla dirigenza dell’Aquila che ha evitato nell’immediato eventi disdicevoli e per la pacatezza delle dichiarazioni nelle ore successive

  7. Roby lo scikke scrive:

    Spero che il nostro Letta organizzi subito una bella Agorà Democratica in Piazza del Campo per discutere di quanto accaduto.

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