Eretico di SienaLa domenica del villaggio: Raffaello, Pennacchi, pasta (e 3 Ps) - Eretico di Siena

La domenica del villaggio: Raffaello, Pennacchi, pasta (e 3 Ps)

Dopo la parentesi monografica dedicata a Roma, torniamo al consueto format della rubrica cultural-domenicale del blog: si parte con una recensione di un bellissima biografia su Raffaello, a cura del professor Marco Bussagli; poi, spazio ad un breve ricordo dello scrittore Antonio Pennacchi – scomparso ad inizio agosto -, dopo avere visto “Mio fratello è figlio unico”, tratto dal suo “Il fasciocomunista”; dipoi, per la rubrichetta “Pubblicità regresso”, eccoci alla pasta De Cecco e a Can Yaman…

RAFFAELLO, LA FORNARINA E IL DEMONE DELLA BELLEZZA

Ci sono libri dedicati a grandi artisti, che sono essi stessi opere d’arte: è il caso del “Raffaello” del professor Marco Bussagli (edito da Giunti), autentico libro cult per gli amanti di Raffaello Sanzio; libro non tascabile, certo, né economico (85 euro: la qualità si deve pur pagare), ma libro che non può mancare nelle librerie degli amanti dell’Arte e del Bello tout court. Giovedì scorso, in occasione del penultimo appuntamento letterario in Fortezza, abbiamo avuto l’onore di ospitare l’autore – insieme al professor Alfredo Franchi ed al sempre scoppiettante Vinicio Serino -, ed è stato un autentico piacere ragionare di Bellezza e di Armonia, di Papi e banchieri come Agostino Chigi, in un tempo ormai imbarbarito in modo irredimibile, a livello di gusto estetico.

Non è questa la sede per discettare in generale sull’urbinate (1483-1520), il quale con l’arrivo nella Roma di Giulio II (1508), e poi di Leone X, diventa un artista contesissimo, nonostante la concorrenza di pesi non piuma come Michelangelo ed altri. Bussagli insiste sul suo ruolo di “artista totale”, pittore ma non solo; self made man, capace di arricchirsi in modo clamoroso, fino ad un acquistare un palazzo (palazzo Caprini) – pensato dal suo conterraneo Bramante – che oggi, secondo l’autore, vale circa 6 milioncini di euro.

Straordinariamente bravo, appunto, e straordinariamente amato dalle donne; primissima inter pares, la celebre “Fornarina”, la Margherita Luti cui Raffaello dedica un meraviglioso olio su tavola (oggi a Palazzo Barberini, Galleria nazionale d’arte antica); una autentica Venere del popolo – figlia di fornaio -, ritratta dall’urbinate all’insegna di una raffinata sensualità. Con la mano destra, si copre in parte i seni, novella Venus pudica: “un gesto di pudore che tuttavia, piuttosto che nascondere, finisce per sottolineare agli occhi dell’osservatore proprio quanto si vorrebbe celare”, Bussagli chiosa, con piena ragione.

L’opera in questione è datata 1518-1520: qualche decennio dopo, dopo Trento per capirsi, un dipinto così sarebbe stato inconcepibile da proporre. Crediamo che anche in tempi di Metoo, si possa tuttavia convenire che noi preferiamo la Fornarina con le sue seminudità, rispetto ai lugubri teschi (non marcati a livello di genere) dell’allora imminente memento mori postridentino…

IN RICORDO DI ANTONIO PENNACCHI, IL “FASCIOCOMUNISTA”

Finalmente, sebbene in colpevole ritardo, si trova lo spazio per ricordare la figura di Antonio Pennacchi, classe 1950, il quale ci ha lasciato agli inizi di agosto: uno scrittore-operaio che trovò la consacrazione con il romanzo di formazione “Il fasciocomunista” nel 2003, per poi trionfare con “Canale Mussolini” nel 2010.

Ieri sera ci siamo visti (per la prima volta, tra l’altro) “Mio fratello è figlio unico”, trasposizione cinematografica – firmata da Daniele Luchetti nel 2007 – del prima citato “Il fasciocomunista”. Come non abbiamo difficoltà ad immaginare, Pennacchi si arrabbiò non poco con il regista romano, dicendo che, soprattutto nella seconda parte della pellicola, aveva tradito lo spirito del romanzo.

In ogni caso, si tratta di un’opera in cui c’è davvero tutto l’universo pennacchiano, con l’autore che riversa se stesso nel personaggio di Accio (interpretato dal consueto, gigantesco, Elio Germano nel film): il quale non è solo stato prima, da giovanissimo, convinto fascista, nella Latina dei Sessanta, e poi convinto comunista (sponda maoista, poi abbandonata), ma era stato in primissimo luogo un sacerdote mancato, in seminario, ove tra l’altro era divenuto assai ferrato nel Latino (quando i seminari erano luoghi di Cultura, non solo cattolica).

L’universo pennacchiano è un universo ormai superato: è quello della militanza politica, anche violenta (il fratello diventerà un terrorista rosso, e verrà ucciso dalla polizia), che si intreccia inevitabilmente con amicizie – che ti fanno scegliere una parte invece dell’altra -, e amori (sulla rive gauche, si scopava molto di più, e questo spiega molte cose e non poche carriere: ma questo è decisamente altro argomento).

Di Pennacchi, resta la vulcanica, tracimante, simpatia; dei suoi libri, invece, resta una scrittura asciutta, abbinata ad una onestà intellettuale rara, nonché una grande, inesausta, vis polemica, tipica di una figura inquieta come la sua; resta infine anche la sua biografia, tutt’altro che anonima e scolorita: fatta di notti operaie (sul serio), e di tanta, sudata applicazione. Un autentico monito, per coloro che – in quel passato così ben descritto dall’autore – si dichiaravano “operaisti” senza avere mai toccato un bullone; ma anche per i tantissimi – ben presenti anche oggi, anzi più di allora -, i quali pretendono di scrivere libri senza avere quella formazione culturale di base che, tra una scazzottata e l’altra nella Latina d’antan, Antonio Pennacchi aveva in grande copia. Riposi in pace, ché se lo è meritato.

PASTA DE CECCO, E L’UOMO OGGETTO

Il plot dello spot, i lettori lo conosceranno, stante il martellamento di questi giorni: un vigoroso giovanottone (il gettonatissimo Can Yaman, il quale, in effetti, si capisce possa piacere), indubbiamente molto ben tornito a livello muscolare, sta correndo, con due fanciulle al seguito, sulla scalinata di Piazza di Spagna; gli telefona Claudia Gerini, con accanto amica con faccia da film del primo Almodobar, la quale gli dice che sta preparando un bel piatto di De Cecco integrale. L’atleta si presenta a consumare il carboidrato, in dolce compagnia: le due fitnico-fanciulle con cui già era, più la padrona di casa con amica alluzzata all’ennesima potenza (le quali, bontà loro, sopportano tutte quante le ascelle pezzate del palestrato, che si mette a tavola tal quale era in Piazza di Spagna, neanche una sciacquatina…).

Insomma, quando c’è la donna-oggetto in vetrina (pur se a corrente parecchio alternata), molte anime belle si scandalizzano; quando c’è una chiara, sfacciata esibizione a fini commerciali del maschio oggetto, invece, nessuno dice niente, anzi è tutto un “magna magna”: di pasta, con la mandibola; di uomo, con gli occhi sgranati. A parte l’invidia, forse è davvero un caso di pubblicità-regresso, no?

 

Ps 1 Giusto un anno or sono, nell’ultima domenica settembrina, si tenne una gran bel pomeriggio risorgimentale – che avemmo l’onore e l’onere di concludere – nel Montone, organizzato, oltre che dalla dirigenza, dall’ottimo Gabriele Maccianti: fu ricordata la figura di Niccolò Scatoli, il trombettiere di Porta Pia, con annessa inaugurazione della lapide in Via Roma, sua casa per decenni. Un evento per non dimenticare da dove veniamo, a maggior ragione meritorio perché – fateci un pochino caso – gli italiani si accapigliano solo su certi passaggi storici (inutile specificare quali), mentre altri sono destinati sic et simpliciter all’oblìo.

Ps 2 Elezioni in Germania: mentre scriviamo, testa a testa davvero totale fra Cdu e Spd; ricordiamo ai lettori che potrebbe diventare Premier anche chi arriva secondo, ma può formare, prima e meglio, un Governo. Per noi italioti, l’importante è che in questo futuro Governo non ci siano i rigoristi liberaldemocratici, altrimenti gli scontri di ieri (sulla obbligatorietà del green pass), diventeranno una prassi quotidiani, tipo ai tempi descritti da Pennacchi…

Ps 3 Domani, ultimo appuntamento in Fortezza per la stagione 2021; lo scrivente introduce l’interessante romanzo di Paolo Pajer, il quale con il suo “Leggermente distopico” sarà ovviamente presente. Un accenno alla trama: pensate ad una persona che, prima del tempo giusto, chiede di andare in pensione per 10 anni, per poi tornare al lavoro, e mescolate con ritratti umani ben calibrati. Lo scrivente e l’autore aspettano chi vorrà lunedì 27, alle ore 18, al bastione San Domenico in Fortezza (tanto torna il solicino).

3 Commenti su La domenica del villaggio: Raffaello, Pennacchi, pasta (e 3 Ps)

  1. alberto bruttini detto "Il Cacaccia" scrive:

    Ogni tanto sparisce “nome” e “Email”.

    Mah !!!!!!

    Volevo sapere se quel Marco Bussagli è parente di Mario mitico orientalista

  2. Dittatore sanitario scrive:

    Scusate l’off topic, ma io continuo a non comprendere: per entrare in un museo, magari a vedere un meraviglioso Raffaello (il mio preferito è la Madonna del cardellino), uno ci deve avere il green passe, anche se il distanziamento è assicurato. In un mezzo pubblico, tutti pigiati e niente gp: qualcuno mi sa spiegare questa cosa? Lo Stato obbliga i suoi “cittadini”, solo laddove può controllare: belle forze…

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