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La domenica del villaggio: Vincenzo, i cinema e la Siena che fu

Nella consueta rubrica cultural-domenicale, oggi ci occupiamo monograficamente di un libro appena uscito (prima presentazione, sabato scorso nella Limonaia del Tribunale): l’ultima – e più ambiziosa – fatica di Vincenzino Coli, intitolata “Quando i cinema avevano la coda – Siena in platea. Splendore e fine di un sogno popolare” (Nuova immagine, euro 16). Prefato da don Roberto Barzanti, con poi un intervento finale di Duccio Balestracci, nonché, dulcis in fundo (ovvero venenum in cauda?) un glossario di espressioni vernacolari senesi (quella scelta come titolo è “stasera so’ lezzo”, forse non a caso).

Un libro che ci permettiamo di segnalare e financo di pubblicizzare, in vista dell’imminente Natale (che è il secondo tempo del Black friday, no?).

 

UN LIBRO AMBIZIOSO

Questo di cui si parla, è senza dubbio il libro più ambizioso di Vincenzo Coli: lo conosciamo a sufficienza per poterlo scrivere senza dubbi di sorta; un po’ sarà l’età – i 72 anni, portati con leggerezza, senza tingersi i capelli di nero come i mandarini cinesi, e non solo perché, quanto a capelli, ne sono rimasti pochi -, un po’ sarà il contesto – politico e culturale – generale, insomma sia quel che sia, non si può che ribadire la consapevole ambizione di questo libro.

Le cui 256 pagine non sono – come potrebbe sembrare – solo un approfondimento sul cinema e sulle sale cinematografiche senesi (già non sarebbe poca cosa): è senz’altro anche questo (con passaggi gustosissimi, tra l’altro), ma è in primo luogo un’autobiografia, con in più lo sforzo di raccontare la Siena e l’Italia – con qualche sprazzo anche oltre confine, ovviamente – degli ultimi 70 anni.

Un cotanto vasto programma, se portato avanti da qualcun altro, avrebbe dato verosimilmente come risultato un insopportabile polpettone, fra memoir, saggio, erudizione cinematografica e chissà cosa d’altro; grazie alla brillantezza della penna di Vincenzo – non a caso, in questo blog già definito più volte la “penna più brillante di Siena”, chiaramente dopo quella dello scrivente -, invece, la lettura fila veloce come un treno (non per Empoli): provare per credere…

 

I SENESI, E GLI ITALIANI: COME ERANO…

Ci sono libri che squadernano in modo esaustivo la Storia d’Italia di questo periodo, di un Paese che era devastato dalla guerra e che si è saputo sollevare, agganciando quella modernità e quel benessere che non poteva non fare mutare antropologicamente gli italiani (ed i senesi); fra i tanti, i due che lo scrivente consulta più spesso sono quello di Gotor (“L’Italia nel Novecento – Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon”, per Einaudi, e la “Storia della prima Repubblica – L’Italia dal 1943 al 1998”, di Aurelio Lepre, uscito nel 1993 per il Mulino).

Ma è pur vero che sono testi, pur non esclusivamente rivolti a specialisti, i quali difficilmente catturano il lettore medio, il quale invece non può non essere interessato alla briosa narrazione portata avanti da Coli, con ironia mai sazia, e poco spazio al sarcasmo (l’autore sa essere graffiante, infatti, senza essere quasi mai sarcastico): Vincenzo è un docente purtroppo mancato – lo scrive lui stesso -, giacché sarebbe stato capacissimo di tenere desta l’attenzione anche dei giovani, financo dei deficienti – in senso latino, ci mancherebbe, eh -, di quelli intontiti, inebetiti, obnubilati, da 6,7 ore al giorno fra social e play station.

Vincenzo Coli è un intellettuale di Sinistra: non lo nasconde, non lo hai mai nascosto, così come non nasconde le amarezze e le delusioni che la sua stessa parte politica gli ha riservato, nei decenni attenzionati nella sua opera, a Siena come a livello nazionale; più di tutto – e qui il cinema inizia a fare capolino – sembra avere nostalgia di quella dimensione popolare e partecipata della Politica (azzardiamo la maiuscola, suvvia). Ricordando che c’è stato un tempo in cui lo spazio dei cinema serviva anche come agone di incontro e partecipazione politico (il Metropolitan, certo, ma anche il Moderno: il primo oggi dimezzato, il secondo da anni estinto), l’amarezza per una prassi ormai estinta si fa vieppiù intensa.

Laudatio temporis acti, qualcuno potrebbe obiettare e chiosare: noi, però, non saremo fra questi…

 

I CINEMA, IL LUOGO FISICO DELLA COMMEDIA UMANA

Il cinema è (era) il più democratico fra gli spettacoli: ormai l’andare dentro una sala cinematografica è esperienza rara, per alcuni inesistente. Inutile stare a dire il perché: dai tempi della Tv (che però non passava le prime visioni, eh), siamo passati alle videocassette degli Eighties, dopodiché, con il combinato disposto di Tv a pagamento ed Internet…forse ci si potrebbe stupire che ci sia gente ancora contenta di frequentarli, i cinema: rallegriamocene!

Vincenzo dà forse il meglio nel raccontare le caratteristiche peculiari di questi luoghi – per lui, come in seguito per lo scrivente – dell’anima; la sua iniziazione avviene nel cinema en plein air di Piazza San Francesco, quando aveva 5 anni e, partendo dalla brucaiola casa natìa di Via del Comune, scopre il fascino del grande schermo (in contemporanea tra l’altro con l’inizio delle trasmissioni della RAI). La gente faceva la coda, per assistere: pensate un po’.

Poi, passa in rassegna tutte le sale senesi possibili ed immaginabili, ricordando che quella del Pendola – nato 40 anni or sono, ove Coli tiene da anni apprezzate lezioni sui maestri del cinema – era nata giusto 40 anni or sono, essendo allora la più piccola in città, mentre oggi è la più grande. Sic transit gloria mundi (del cinema, per meglio dire).

L’autore ricorda la sua esperienza – anche lavorativa, come “maschera” – allo Smeraldo, al Ponte di romana: nato come cinema d’essais, nel 1975 (erano anche gli anni dei “clebbini”, ricordati con dovizia di particolari), poi divenuto, agli inizi degli Ottanta, il roboante Fiamma (oggi – come risaputo – ci si va a fare la spesa, se del caso). In questo caso, il passaggio Smeraldo-Fiamma è un ricordo condiviso fra lo scrivente (allora bambinetto, sia chiaro!) e l’autore.

Così non può essere per il Senese, da me mai assaggiato per una mera questione anagrafica; era in Via Montanini (oggi filiale di banca), e Coli lo descrive come “il regno dei film ignoranti”; il luogo fa perno su “una sala grande, fatiscente e scomoda, sedili di ferro e legno. Covo di umori plebei, presenza incongrua e assediata da negozi chic e appartamenti eleganti”; ancora oggi, chiedete in giro agli anziani: vi risponderanno che era il cinema dei “b….i”.

All’ingresso, a staccare i biglietti, la maschera è soprannominata “Capitan Uncino”: “quando gli mostri il biglietto per lo strappo sorride timidamente e cala velocemente la mannaia di un ditone enorme, forse un pollice adunco, quanto gli rimane della mano destra per colpa della guerra, si dice”.  E che fauna antropologica, al Senese: “…signori distinti di mezza età con gli occhiali scuri, impegnati a guardare i soldatini (di leva, Ndr) intensamente, troppo intensamente. Le scarpe schiccriolano su un manto di gusci di semi, gli occhi si arrossano e lacrimano, irritati dal fumo delle nazionali. Il naso s’arriccia, offeso da cattivi odori di origine fisiologica, altrove incresciosi, lì bene intonati”.

Lo spazio è finito, ma dispiace davvero troncare la descrizione di questo come eravamo: poteva capitare, pur di guardare un film, di stare un paio di ore in luoghi in cui oggi neanche si entrerebbe per una manciata di secondi. Luoghi proprio malsani, spesso mal frequentati: ma che nostalgia, per Zeus, che nostalgia…

 

 

Ps  Dall’Iran, arrivano notizie confuse e contrastanti (se fosse stata abolita la cosiddetta “polizia morale”, sarebbe cosa splendida); certo è, che la parola “controrivoluzione”, in un contesto come quello di Teheran, assume una valenza del tutto positiva, visto che la rivoluzione del 1979 è stata (è) quanto di più teocratico ci sia nel mondo odierno.

Ps 2 Il 14 dicembre 1922, a Grosseto, nasceva il grande Luciano Bianciardi: lo scrivente lo ricorderà in svariati luoghi (il primo, lunedì 12, nella nuova Sala soci della Coop delle Grondaie, alle ore 18), perché davvero è un intellettuale che merita di essere ricordato, e per una pluralità di motivi.

 

7 Commenti su La domenica del villaggio: Vincenzo, i cinema e la Siena che fu

  1. Daria gentili scrive:

    Comprerò certamente il libro perché i Cinema di Siena, specie quelli che non ci sono più, ricorrono spesso nelle memorie di quelli della mia generazione. Lo Smeraldo, poi, è un ricordo legato alla mia fanciullezza.Ogni lunedì, giorno di riposo settimanale dei calzolai,
    era un rito per me andare al cinema con mio nonno, che aveva appunto la bottega di calzolaio nella vicina via dell’Oliviera, quando davano – come diceva mio nonno – un film di cowboy . Rivedo anche ora le scale in marmo che scendevano, il piccolo bar dei Sig.ri Frosini dove comperare noccioline e dolciumi, la nube di fumo che accompagnava la visione del film..

  2. Anonimo scrive:

    Eretico, se ce la fai gradiamo un tuo commento icastico, sarcastico e sardonico sulla vicenda piantine in Banchi di Sopra.

    • Eretico scrive:

      Caro anonimo,
      mi hai fatto davvero incuriosire: sto giusto uscendo dalla mia casetta nella vallata fuori Porta San Marco (tra cinghiali e – pare – anche lupi), per dirigermi in loco, ergo domani sarai senza dubbio accontentato.

      L’eretico

    • Eretico scrive:

      Caro Anonimo,
      intanto mi scuso per il ritardo nella risposta, ma – come dire – gli impegni sono davvero non pochi, mi si creda.
      Ciò detto, ho attraversato Banchi di sopra (lunedì sera), e di quelle piantine NON ho trovato traccia alcuna; ne ho viste invece alcune all’imbocco di Via Montanini (verso il cinema Senese, se ancora ci fosse!), e francamente mi sono sembrate stenterelle assai.
      Non avendo purtroppo la conoscenza della botanica di un Manzoni, non saprei neanche con certezza denominarle, ma stenterelle e distoniche rispetto a ciò che ci si aspetta per il Natale (secondo tempo del Black friday), questo sì: c’è l’austerity, via…

      Della conferenza stampa del Sindaco De Mossi si scrive tra stasera e domattina, suvvia…

      L’eretico

      • Anonimo scrive:

        Non ci sono perchè erano state messe in Banchi di Sopra dal Comune come addobbi natalizi ed i commercianti le hanno fatte subito togliere …

  3. Christmas scrive:

    Finalmente ha sciolto oe riserve mett3ndo fine alla novella dello stento.
    Non abbiamo bisogno di egocentrici a mezzo servizio che si sono accaparrarsi il merito della vittoria.
    “L’epurazione” non e ancora completa! Dovranno essere messi fuori dai luoghi di potere( economico, finanziario, politico, amministrativo e anche religioso tutti gli scikke che hanno avuto gioco facile fino a 4 anni fa.
    La pacchia è finita!
    Il tricolore( imperiale) tornerà a sventolare in tutti gli affacci!
    4 anni di governo col freno a mano. Ora siamo pronti per una solitaria guida amministrativa, che non preveda un civico a fare da apripista per poi prendersi i meriti.

    • Paolo Panzieri scrive:

      A parte il “tricolore imperiale” (collo scudo Sabaudo? Ma i Savoia traditori non erano stati rottamati?) e “l’epurazione” (che sa tanto – perdonami – però di purga Staliniana …), mi garberebbe tanto sapere chi potrebbe mai essere cotesta “solitaria guida amministrativa”.
      Se dovesse servire anche un bunker, poi, si diceva che qualcuno se lo fosse pure costruito e adesso potrebbe essere anche libero …
      Perdonami, ma credo tu abbia una sola grande fortuna: la Lamorgese non è più ministro, perché sennò magari prima delle prossime incombenti amministrative, cercando gente con le pistole di plastica, un sidecar mimetico (il Sindaco sopra resta opzionale) e qualche libretto di quelli all’indice comprato incautamente su amazon, forse qualcuno sarebbe potuto venire a bussare anche a casa tua.
      Se vuoi fare l’estremista, dammi retta, iscriviti ad un centro sociale.
      Aiuta molto la professione.
      Lì c’è ancora un po’ di impunità e magari ti puoi divertire scrivere roba anche più pesa.
      Tanto gli estremi – dicono – alla fine si toccano … non è così?
      Peace & love.

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