Eretico di SienaIl mercoledì scolastico: il latinorum 2.0 - Eretico di Siena

Il mercoledì scolastico: il latinorum 2.0

- 12/11/14

Da un paio di settimane, ho incominciato l’abituale corsetto pomeridiano (extracurricolo, si dovrebbe dire) per absolute beginners di Latino, destinato ai ragazzini di seconda e terza media: siamo alla prima declinazione, dunque al sum,es,est…

Ne scrivo perché più volte – anche negli anni pregressi – mi sono chiesto cosa mai possa spingere un ragazzino di quell’età, dopo 5 ore di fila di scuola, a strabuzzarsi con un panino in fretta e furia, per poi, alle 13,50, presentarsi (rectius:ripresentarsi) in classe per un’ora e mezzo di latinorum.

Perché lo faccia lo scrivente, è evidente: in primo luogo per i dindini (ben pochi, ma altrettanto ben guadagnati); per fare un po’ di esercizio ad hoc (per quanto di livello bassissimo), che non fa mai male; perché, infine, mi piace dedicarmi a cose anacronistiche: come il Latino, la Storia, l’etica pubblica…

E poi perché queste lezioncine post prandiali, con il tortellino al ragù ancora da digerire, hanno un sapore tutto loro: fanno davvero tornare ragazzi (I quadrimestre di quarta ginnasiale: 4 allo scritto in Latino, e vai…); poi ci sono quelli che ti portano un Tantucci d’antan, della nonna-mamma-sorella maggiore-zia, con tutte le sottolineature possibili ed immaginabili; e che Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa sia, dunque…

Ma loro, i fanciulli, che cosa diavolo ci vengono a fare? Sì, si preparano per i Licei, in modo da arrivare non digiuni alle superiori: dal punto di vista pragmatico, ottimo motivo (poi ci sono i docenti liceali che si dividono: per alcuni, meglio così; per altri, molto meglio partire da zero assoluto. Il dibattito è aperto).

Io gli faccio il solito discorsetto sull’importanza del Latino per un uso più consapevole della loro lingua natale; aggiungendoci sempre la battutina sul fatto che, se un giorno vorranno entrare in seminario, gli potrà essere utile (come se oggi i giovani preti conoscessero bene il Latino: ma non entriamo – oggi almeno – in cotanti salceti…). E poi una questione che mi sta parecchio a cuore: l’allenamento, l’esercizio, la ginnastica mentale, forgiatrice per tutte le altre materie, ed altro ancora.

A pensarci ancora di più e meglio, però, mi pare di essere sulla Luna o su Marte, talvolta; sono colto, non di rado, da una curiosa sensazione di spaesamento: perché – con tutto ciò che c’è fuori – io gli insegno il Latino? Che mai se ne faranno, in concreto?

Infine, oso dirmi, senza alcun misoneismo di maniera: già il fatto che stiano un’ora e mezzo di fila senza cialtroneggiare su Facebook e Whatsapp, non è forse un gran bel risultato (in re ipsa, verrebbe da dire)?

Per il resto – come peraltro per tutto ciò che a scuola si cerca di fare -, chi vivrà vedrà…

 

Ps Rigorosa privacy, ci mancherebbe, ma questa è straordinaria: solo l’innocenza fanciullesca poteva arrivare a tanto.

Prima lezione sulla Riforma luterana, dunque.

“Ragazzi, il titolo è Introduzione a Lutero”, dico io.

Passo fra i banchi, durante la spiegazione. Un ragazzo ha così titolato:

“INTRODUZIONE A L’UTERO”.

Non è meraviglioso, tutto ciò?

17 Commenti su Il mercoledì scolastico: il latinorum 2.0

  1. Anonimo scrive:

    Il ragazzo farà sicuramente il ginecologo!!!

  2. Cecco scrive:

    ….nel grigiore di queste giornate….ci vuole una bella INTRODUZIONE ALL’UTERO…..!!!!

  3. Anonimo scrive:

    Lo sai che mi piacerebbe esserci ad una di queste lezioni di latinorum? Credo che l’Eretico riesca a fare appassionare anche ripetendo per l’ennesima volta il Rosa, rosae…

    Un genitore di un alunno che fa Latino

  4. Enzo Martinelli scrive:

    A proposito di seminario mi sembra sia passata del tutto inosservata la cirostanza della “sospensione” delle attività didattiche del Seminario Regionale di Montarioso. I 7-8 seminaristi frequentano le lezioni a Firenze. Forse una buona notizia per gli eretici. Sicuramente una brutta cosa per quelli che cercano di essere “cattolici”, come me. Ma tutti quelli che discutono di Kultura a Siena, com’è che neppure accennano al fatto che un altro luogo di una secolare elaborazione culturale viene meno nella città che ambiva ad essere capitale europea?
    Complimenti per il latino e per la vivacità del blog.

    • Eretico scrive:

      Ringrazio Enzo Martinelli per l’intervento, che in effetti è stimolante soprattutto in quanto mette l’accento (in modo giustamente dolente) su un altro pezzo della Cultura senese che se ne va. In questo caso, nel silenzio più completo. A partire dai kulturali, ai quali interessano solo gli oboli regionali (penosa risposta del professor Sacco a Montanari su Repubblica Firenze di oggi, a tal proposito).

      Premesso che il Seminario di Montarioso PURTROPPO negli ultimi anni era diventato anche altro (molto altro) rispetto ai suoi scopi originari, anche l’eretico – come Martinelli – si rammarica che la città lo abbia perso.
      A proposito, a breve si tornerà a scrivere della Curia più fashion d’Italia: allacciate le cinture…

      L’eretico

  5. margh. scrive:

    Mi viene in mente una frase di Battiato in una delle sue canzoni ( di cui non ricordo il titolo): “..il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. E’ assai probabile che non ti serviranno nemmeno il latino e il greco antico (che ho studiato con grande riluttanza quando facevo il liceo), ma neanche il tablet, l’i-phone 5, ecc..
    Mi sono accorta da grande quando ho iniziato a lavorare prevalentemente in inglese e in francese (ho portato avanti trattative di vendita al telefono), quanto fosse importante avere una base di studio della grammatica e della sintassi del latino e del greco. Parlo fluentemente queste lingue moderne (inglese e francese) nonostante la abbia studiate da adulta – imponendomi la lettura di quotidiani e magazine in lingua originale, guardando film in lingua originale, frequentando corsi di perfezionamento, frequentando amici americani prevalentemente – credo perché avevo le cosiddette “basi” di latino e greco antico. Non è stato faticoso per me, perché quando hai la testa già impostata per lo studio delle lingue poi ti riesce abbastanza facile penetrarle (niente battute su “l’Utero” per favore..!) e farle tue. Non sai quante volte mi sono sentita dire da americani “oh..finalmente qualcuno che parla bene l’inglese!in Italia sembra che lo parliate tutti poco e male”. Vero. I tedeschi poi che ti fanno “tu iu spik inklish…meibi littl..?” perché danno per scontato che l’italiano-magniaspaghetti l’inglese non lo sappia proprio. Di solito a questa domanda che mi viene puntualmente rivolta con accento odiosamente teutonico rispondo in perfetto british-english “Yes I do…do you?” finisce che mi fanno i complimenti e che come al solito credevano che io (dato che sono italiana) l’inglese non lo sapessi. Non posso dire, pur troppo, lo stesso per il greco moderno. La prima volta che sono andata in Grecia ho fatto una figura tipo il tenete nel film di Salvatores “Mediterraneo”, che nella vita civile era in realtà un insegnante di latino e greco al ginnasio: “Egò eimì o strategos ton Italikon” rivolgendosi a un indigeno il quale prontamente risponde in italiano per snellire la conversazione, e visto che il greco antico a poco a che fare con quello moderno. La mia generazione, comunque, l’inglese l’ha fatto solo al biennio del Ginnasio, se ti ricordi. Eppure lo parliamo meglio di altri. Sarà merito del latino? In parte anche sì.

    PS.: un ringraziamento alla mia prof. di inglese delle medie, la signora Pallassini e anche alla mitica prof. Lajolo del Ginnasio.

    • Fede Lenzi scrive:

      Margh, perdono se mi permetto. Ok parlare l’inglese… ma l’ortografia italiana?!? Bon, anche oggi ho fatto il prof rompimaroni, era il compleanno di mylady quindi l’ho fatto qui. Detto questo, non potete immaginare quante volte, nel bel mezzo di una mia lezione, chiedo con tono dubitativo: qualcuno di voi ha fatto latino? E poi, quando di rado una mano si alza, difficilmente riesce a darmi soddisfazione. Voglio dire che insegnando la lingua italiana si ha mille e più volte la tentazione di passare dal latino, perché spiega e giustifica TUTTO o quasi. Qui in Francia tra l’altro lo pronunciano diversamente da noi, alla Martufello direi io, e la cosa mi fa abbastanza ridere. Bon, preme ricordare un leggendario certamen al Galilei sull’utilità del latino. Non ero più al liceo, ma seguii l’evento da molto vicino. Per concludere, in Francia mi sento un mezzo Cicerone, ma mi basta entrare in una chiesa con mio babbo per sentirmi subito una merdina…

      • margh. scrive:

        Fede Lenzi, chiedo venia. Può darsi che abbia fatto qualche errore di ortografia scrivendo velocemente su questa tastiera, ma credimi non è che sono carente in ortografia :) …sono solo errori di battitura.
        Aggiungo che se tornassi indietro non farei il liceo classico, ma sceglierei una scuola che mi desse ( o dàsse..?) una preparazione professionale. E’ vero che il classico ti dà (ci vòle l’accento..?)le cosiddette “basi” ( ma poi che vuol dire?!) e ti dà anche una certa “apertura mentale” (così dicono..) con cui poi devi fare i conti con non poca frustrazione. Tuttavia quando ti affacci al mondo del lavoro, al tuo datore di lavoro non gliene può fregare di meno se hai un’apertura mentale, anzi direi che il più delle volte l’apertura mentale è considerata perniciosa e ciò mi mette non poca tristezza. Oggi l’unica cosa che devi poter garantire a chi decide di assumerti è che tu sia un ingranaggio efficiente per far aumentare i profitti dell’azienda. Tutto ciò è squallido, ma così è. Alcune settimane fa ho letto un articolo in cui si diceva che sui banchi del liceo sarebbero approdati i testi delle canzoni di Renato Zero. Mi sono resa conto che aver studiato Parmenide, Epicuro, Socrate, Platone, Aristotele, e poi il teatro di Eschilo , Sofocle, Euripide…non serve a un c…o. Una volta sola nella vita (quando stavo a Roma)mi è capitato di leggere un’ offerta di lavoro in cui il titolo di studio richiesto era il diploma di liceo classico. Caso più unico che raro. O tempora o mores.

    • Edoardo Fantini scrive:

      L’Italia è il paese dove più si studia il latino ( il 41% dei giovani, contro il 5-8% della Germania, l’1,2% della Gran Bretagna e l’1,3% degli stati Uniti) eppure è il paese dove si parlano meno lingue straniere e l’editoria è più in crisi perché si leggono meno libri che nel resto dell’europa. Sei sicura, Margherita, che ci sia un nesso fra il latino e la cultura?

  6. Senesediritorno scrive:

    Bravo Prof. Ascheri! Una gran bella iniziativa quella del latinorum a quei ragazzi !!! Cosa se ne faranno? C’è da augurarsi che quantomeno disimparino a scrivere tutti quei “ke”, “xo'” et similia di cui infarciscono le loro “comunicazioni” e imparino meglio la consecutio temporum salvando il congiuntivo dall’estinzione cui sembra condannato!! Mio figlio che ha avuto la fortuna di un professore di latino appassionato del Suo pari, è tutt’ora grafo a quell’insegnamento che gli ha aperto le porte dell’apprendimento di molte lingue!!! Viva il Latino e le Belle Lettere

  7. Anonimo scrive:

    Caro Prof. Ascheri lei l’ anno scorso non ha attivato il corso di latino e perchè quest’anno si?

    • Eretico scrive:

      Le rispondo subito: per il semplice, forse banale motivo che non si era raggiunto – l’anno scorso – la fatidica quota 12 (studenti). Quota che la segreteria della scuola ritiene cogente per l’avvio del corso stesso.

      L’eretico

  8. Paolo Panzieri scrive:

    Caro Raffaele,
    per tirarti su di morale posso dirti che personalmente sono riuscito a comprendere davvero la lingua italiana solo dopo aver studiato il latino.
    Quindi, penso che un po’ di latino farebbe bene più o meno a tutti ….
    Inoltre, scendendo nel particolare, posso affermare a ragion veduta, e cioè per esperienza familiare diretta, che il tuo corso è veramente utile per affrontare il successivo impatto con il Liceo.
    E per questo non posso che ringraziarti.
    Paolo

  9. SENESE CONTROCORRENTE scrive:

    Mah, sarà, io il latino non l’ho mai imparato e meno che mai il greco antico. Ho però letto tanto fin da ragazzo, anche qualche libro in lingua originale inglese e francese e, con tutto il rispetto di chi lo ha fatto o lo sta facendo, non ho mai sentito la necessità di imparare queste due lingue estinte. Certo dal latino e dal greco antico derivano tante parole moderne (basti pensare al diritto ed alla medicina) ma il fatto che poi il loro studio agevoli il parlare bene l’italiano ed altre lingue sono molto scettico perchè parlando con vari colleghi del sud, in netta maggioranza dichiaratisi ottimi ex studenti provenienti del liceo classico, cascano sempre nel pessimo errore del congiuntivo tipo: ‘speriamo che non piove (!), penso che viene (!) e così via errando e straziando la povera lingua italiana. L’unico modo per imparare bene a parlare è essere meno superficiali e leggere tanto, anzi tantissimo. Per finire, caro Eretico non mi sono piaciute quelle paroline inglesi ‘absolute beginners’, che vogliamo essere alla moda di infarcire i nostri discorsi con parole straniere? Ci sono dei sinonimi italiani molto più validi: neofiti, novizi, esordienti, nuovi praticanti, allievi e altri; se no mi ricordi un tale Masoni che, cronista del Palio e pseudo purista del vocabolario paliesco, mi parla di cavalli ‘big di piazza che sono al ‘top’ della forma.

    • Fede Lenzi scrive:

      I sinonimi italiani molto più validi sarebbero “neofiti, novizi, esordienti, nuovi praticanti…”? Ma vogliamo scherzare? Al limite “debuttanti”, però a me “absolute beginners” è piaciuto un casino, forse perché mi ricorda una canzone stupenda di David Bowie… insomma, da qui all’accostare l’italiano dell’Eretico a quello di Frankie Mason ce ne corre… Bisogna leggere tantissimo, d’accordo, ma anche ascoltare tanta musica non fa male.

      • margh. scrive:

        Sono certa che prof. Ascheri con “absolute beginners” voleva solo fare un piccolo omaggio a David Bowie (caro alla nostra generazione), certamente non scimmiottare le bizzarre anglofonie del Masoni. A questo proposito ricordo i nomi di due cavalli del Palio (ma ce ne saranno sicuramente altri) Way to Sky (che si pronuncia uei-tu-scai) e Quietness (che si pronuncia quai-et-nes) che furono “masonizzati” in UAITOSCHI e QUITNES con effetto decisamente esilarante. :)

    • margh. scrive:

      ..sul “leggere tantissimo” non sono proprio convinta. Diciamo che bisognerebbe leggere i libri giusti. Conta la qualità di ciò che si legge, non la quantità. Inoltre – e scusate se mi dilungo, ma l’argomento mi è caro – devo dire che non è di poco conto anche l’ambiente in cui si è cresciuti. Esiste, credo davvero, un “lessico familiare” che impariamo da piccoli e che ci portiamo dietro tutta la vita. La mia famiglia di origine era una famiglia borghese benestante, con ben due salotti adibiti a biblioteca. Mentre ne parlo, mi sembra di vedere un vecchio film. Non essendo una famiglia contradaiola, benché senese, mi è mancata la frequentazione con il vernacolo. Solo da adulta ho imparato che “désina” voleva dire pranzo, e “diacé” era il verbo dormire, con grande incredulità di quelle che erano allora le mie frequentazioni giovanili: “ma davvero non lo sai che vuol dire diacé..?”, sembravo una venuta da Marte. Una volta (una delle rare)in contrada dissi “mio padre”, ecco…se avessi tirato un moccolo avrei fatto più bella figura! “Il mi’ babbo! a Siena si dice il mi’ babbo!” mi rimproverò con tono perentorio e severo un omìno di contrada. Non ho mai detto “guasi” e nemmeno “duegento”, non per snobismo ma perché a casa mia avevo sempre sentito dire “quasi” con la “q” e “duecento” con la “c”. A scuola un bambino mi corresse quando scrissi “la radio”, mi disse che la maestra l’avrebbe segnato errore perché si dice “l’aradio”. Ebbene, corressi ..e la maestra me lo segnò errore blu (in blu erano gli errori più gravi!). E così anche “lapis” diventava “l’apis” e via e via.. Molti hanno scambiato il mio modo di parlare corretto per una forma di snobismo, “sei altezzosa” mi dicevano. No, non ero altezzosa. Avevo solo imparato a parlare normale, perché a casa mia (gente strana)si parlava normale. Mi è capitato anche di frequentare famiglie (loro sì un po’ snob) in cui venivi invitato a “colazione” che sarebbe stato il pranzo e la sera a “pranzo”. Ricorderò sempre l’invito al “Pranzo dell’oca fredda” una cena il cui piatto principale era un aspik d’oca (fredda appunto)nella nobile tenuta in Maremma di una famiglia d’alto lignaggio. Uno scimmiottamento dell’upper class anni ’60 in cui ci si doveva distinguere usando un linguaggio sofisticato dandosi un tono un po’ chic. Credo di essere stata fortunata a crescere in una famiglia in cui il pranzo era pranzo ( e non colazione) e la cena era cena (e non pranzo), ma nemmeno desìna. In medio stat virtus. Però la nostra medietas familiare è finita col diventare una rarità, una stranezza: niente lemmi vernacolari, ma neanche parole snob. Dunque mi sono ritrovata a vivere un limbo esistenziale in cui ci si sentiva fuori luogo, nel mezzo tra due estrazioni sociali (l’omìni dell’orti da una parte, e le signore dei salotti buoni dall’altra)in cui si usavano registri linguistici a noi estranei. Ma allora dove era finita quella classe sociale in cui si parlava normale? Eravamo rimasti solo noi come pesci fuor d’acqua, come indiani della riserva? Boh..?! ancora me lo chiedo.

      P.S.: scusa, Raf, se mi sono dilungata e sono andata un po’ o.t., ma mi è venuta così. :)

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