Eretico di SienaLa domenica del villaggio: De Felice, Albertazzi e la Jihad - Eretico di Siena

La domenica del villaggio: De Felice, Albertazzi e la Jihad

- 29/05/16

Eccoci al consueto appuntamento settimanale con la rubrica culturale; nel menu, sono disponibili i seguenti piatti: la complessa figura dello storico Renzo De Felice, a vent’anni esatti dalla morte; una riflessione sulla composizione sociologica degli integralisti islamici, poi. Infine, un ricordo di Giorgio Albertazzi, scomparso proprio ieri (con un Ps dedicato ancora a Marco Pannella).

A causa della tanta carne al fuoco, rimandiamo alla prossima settimana le due rubriche (“Leggi che ti passa” ed “Il cretino della settimana”).

 

IL DE FELICE CHE NON TI ASPETTI

La fama – anche postuma – dello storico Renzo De Felice (1929-1996) è legata ai suoi studi sul Fascismo, in particolare agli otto tomi – pubblicati da Einaudi tra il 1965 ed il 1997 – concernenti la biografia di Benito Mussolini. In particolare, certe suggestioni sono da rimarcare, nella lettura defeliciana del Fascismo: per esempio quella relativa allo spinosissimo tema del consenso, che De Felice periodizza nell’arco temporale 1929 (l’anno della sua nascita!)-1936 (Guerra di Etiopia, per capirsi).  Come con altre tematiche (la “Guerra civile” fra tutte), si trattò di rompere, di spezzare un autentico tabù storiografico, in auge dal 1945: il Fascismo non poteva avere un suo, peculiare, consenso. Invece De Felice dimostrò che sì, quell’aura di favor, Mussolini se l’era guadagnata: si era in un regime polizesco, certo, ma questo non toglie che un consenso in qualche modo genuino e non (solo) coatto, potesse esserci.

Nella sua “Intervista sul fascismo” (1975, curiosamente intervistato da quel M. Leeden oggi così renziano), ebbe a dire quanto segue:

“Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei più grossi è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive. Di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo”. Come dargli torto?

Ciò detto, la paginata che Il Sole 24 ore Cultura gli ha dedicato domenica scorsa (i giorno del ventennale cadeva il 25 maggio) ci mostra che De Felice – allievo di Delio Cantimori – fu SOPRATTUTTO storico del Fascismo (“cane da tartufo per i documenti”, si autodefiniva), MA ANCHE esperto di molto altro: del Giacobinismo italiano, per esempio; degli ebrei (illuminante a questo proposito la sua “Storia degli ebrei sotto il fascismo”, del 1961); infine, De Felice – ce lo ricorda Emilio Gentile – fu anche uno storico capace di stimolanti, ed a tratti profetiche, suggestioni politologiche: sulla fine del voto “congelato”, ipotecato a prescindere (lo diceva nel 1984!); sul rischio astensionismo di massa (fisiologico in altri Stati, patologico in Italia); financo sulla Questione morale. La cui attualità – come noto – è una costante assoluta della Storia di questo Paese…

 

GLI ISLAMISTI? SOPRATTUTTO INGEGNERI…

“La Jihad è roba da ingegneri”, titola un pezzo – davvero di straordinario interesse ed attualità – di Sebastiano Maffettone (Sole 24 ore, 22 maggio); partendo da uno studio di due autorevoli esperti della Princeton university (“Engineers of Jihad, the curious connection  between violent extremism and education”, di D. Gambetta e S. Hertog), Maffettone ci informa che l’arretratezza culturale non sarebbe il mastice principale dell’estremismo islamico. La maggior parte dei terroristi ha alle spalle – statistiche alla mano – famiglie di medie condizioni, ed un accettabile livello di istruzione di base; conterebbe molto il concetto sociologico della “deprivazione relativa”, vale a dire l’avere investito molto – con molti sacrifici personali – su un futuro professionale, che poi risulta invece frustrante. In massimo grado, ciò concerne la categoria degli ingegneri.

Maffettone a questo punto giustamente si chiede, e domanda al lettore: perché allora ciò non vale anche per avvocati, medici, professori? Perché – fra le professioni ad alto background di preparazione pregressa – proprio gli ingegneri in modo specifico? L’indagine, a questo punto, da meramente oggettiva, sfocia nella soggettività: “Il mind set degli ingegneri sarebbe più incline all’estremismo di quello dei comuni mortali”, chiosa Maffettone.

Statistiche alla mano (e qui si rientra nell’oggettività dei dati), la preparazione più scientifica prodromica del terrorismo vale sia per i terroristi islamici, che – in una certa misura – per quelli di destra; per il terrorismo sinistrorso, invece, prevale una formazione prettamente umanistica. Ce ne eravamo accorti…

 

GIORGIO ALBERTAZZI, ATTORE A 360°

Alla veneranda età di 92 anni, ci ha lasciato il grande Giorgio Albertazzi: attore. Attore di teatro, in primissimo luogo; ma anche di cinema, con quasi 40 pellicole all’attivo (tra cui “L’anno scorso a Marienbad”, film cult della Nouvelle vague); ma anche di televisione, per non farsi mancare alcunché.

Due i capolavori in teatro (ma certo ne tralasciamo alcuni altri): il “Troilo e Cressida” nel 1949 a Boboli, con la regia di un certo Luchino Visconti, all’apice della carriera; poi la versione zeffirelliana dell'”Amleto”, che spopolò a Londra nel 1964, in occasione dei 400 anni dalla nascita di Shakespeare.

Attore-feticcio, di stampo quasi ottocentesco, ma capace anche di innovare e di innovarsi (qualche volta anche troppo, vedasi la partecipazione a “Ballando sotto le stelle”…).

Grande uomo di spettacolo, inesausto seduttore (Anna Proclemer fu la sua Eleonora Duse), Albertazzi – è cosa risaputa – ebbe anche la sventura di avere 20 anni all’inizio della Guerra civile, nel 1943; aderì convintamente a Salò, per motivazioni che lui stesso ha provato a chiarire (dal sapore dannunziano, potremmo dire).

L’episodio della fucilazione di un partigiano cui lui partecipò, da sottotenente, lo dimostra in pieno. Certo, fu fascista senza pentimento: ammirevole per la coerenza, dirà qualcuno; sfrontato fino alla fine – anche nell’accusare di codardia i partigiani -, diranno molti altri.

Di certo, siamo con lui quando rifletteva sulla senilità: non è la morte, di cui dobbiamo avere paura, è la vecchiaia; è il rischio della perdita della memoria (lui aveva un ippocampo straordinario), è l’inefficienza psicofisica inarrestabile, che ci deve lasciare sgomenti. Senectus ipsa, morbus est…

 

Ps Simonetta Michelotti – citata domenica scorsa nel ricordo su Pannella – mi ha scritto per dirmi che Marco Pannella, a quel convegno sulla figura di Ernesto Rossi cui il leader radicale assisteva, era davvero attentissimo, financo multitasking, in quell’occasione: ascoltava i relatori – tra cui Mimmo Franzinelli – ed in contemporanea Radio radicale, da una radiolina che si era portata dietro. Imperdibile!

 

18 Commenti su La domenica del villaggio: De Felice, Albertazzi e la Jihad

  1. Edoardo Fantini scrive:

    Renzo De Felice a torto è considerato il più grande conoscitore del fascismo. Ho letto tutto ciò che ha pubblicato, ma più che del fascismo, cioè delle leggi che vollero i fascisti per cambiare l’Italia liberale, scrisse dei rapporti che ci furono fra i gerarchi fascisti, come se fossero questi, a differenza dei provvedimenti parlamentari, a ricadere sul popolo. Di ciò ne è prova evidentissima nel suo “Mussolini il fascista, l’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929″ (Einaudi editore, 1968 terza edizione), dove a pag. 296 mette nero su bianco le proprie conclusioni su un documento approvato da Gran Consiglio del fascismo nel 1927, la Carta del lavoro: ” La Carta del lavoro non innovava in realtà un gran che…” e che in essa “…nulla insomma vi era di rivoluzionario…” A smentire De Felice ci sono ben 50 leggi che presero origine proprio dalla Carta del lavoro nel periodo che va dal 1926 al 1937. Possibile che 50 leggi che istituirono un sindacalismo che fino allora non c’era, un corporativismo che non c’era mai stato, e altre redatte in base ad un documento come quello che risultava di 30 dichiarazioni, le quali difatti costituirono il fascismo, non avessero innovato un gran che? Eppure il “numero uno” fra i conoscitori del Ventennio è considerato proprio lui, e questo la dice lunga sulla volontà di nascondere quello che accadde nell’Italia di quegli anni.

  2. Paolo Panzieri scrive:

    Letti gli argomenti di oggi mi aspettavo un intervento di Edoardo Fantini e l’ho trovato puntuale come un orologio.
    In effetti per comprendere davvero l’Italia – piaccia o no – occorrerebbe capire innanzi tutto cosa ha rappresentato il fascismo per gli italiani, cercando di evitare, per quanto possibile, ogni approccio ideologico al tema.
    Sulle politiche sociali del regime, poi, mi dichiaro apertamente ignorante: ricordo soltanto che in quegli anni fu istituito il TFR (trattamento di fine rapporto), sul quale oggi diversi governi hanno tentato di mettere le mani, come su tutto quanto rappresenti più o meno realmente ricchezza, del resto.
    Anche per questo apprezzo veramente la dialettica di questo blog e suggerisco agli altri frequentatori dello stesso di non malmenare troppo il Sig. Fantini, se la pensano diversamente da lui.
    Infatti, è solo dalla diversità di opinioni che nasce la sintesi della conoscenza effettiva delle cose.
    E mai come in questi tempi ne abbiamo bisogno.

    • Edoardo Fantini scrive:

      Caro Avvocato, le consiglio di procurarsi un libro del quale sono coautore, che si intitola “Fascismo: stato sociale o dittatura?”. E’ pane per i suoi denti visto che tratta di diritto. Dovrebbe essere ancora in tutte le librerie di Siena, esclusa Feltrinelli, oppure lo può ordinare su internet.

  3. bankor scrive:

    “Nulla di rivoluzionario nella carta del lavoro”
    infatti egr Prof Fantini, con l’esclusione di alcuni piccoli particolari quasi insignificanti ma comunque tendenti al reazionario, come:
    la liberalizzazione dei movimenti delle merci e dei capitali del 1922, la privatizzazione di aziende statali, e come quando con le leggi fascistissime del 1926 si vietò il diritto allo sciopero e facendo seguito alla rivalutazione fuori dai fondamentali della lira si raddoppiò la disoccupazione(triplicò nel 1929) e si tagliarono i salari del 20%.
    Fatto salvo tutto questo, per la classe subalterna italiana, la rivoluzione fascio corporativista fu un bel progresso economico e sociale.

    • Edoardo Fantini scrive:

      Caro bankor non ne hai scritta una giusta, ma tanto non ti firmi perciò la tua onorabilità è salva. Se, comunque, vuoi incontrarmi pubblicamente per sostenere con i tuoi documenti ciò che ci hai fatto vedere non hai che da farmelo sapere. Attendo.

    • anonimo scrive:

      Caro Bankor
      ” nel 1926 fu negato il diritto di sciopero”
      Ma vogliamo guardare ai fatti di oggi!
      Io ho visto tanti scioperi, con la richiesta di tanti diritti.
      Il rusultato è il seguente: disoccupazione al massimo, precarizzazione delle persone,
      servizi non funzionanti, vantaggi per le caste che si arricchiscono al danno dei più deboli. I deboli che non li ascolta nessuno. Aziende in declino.
      E questa è l’utilità degli scioperi. Fai tu……

      • Edoardo Fantini scrive:

        Caro anonimo, nel 1926 lo sciopero fu proibito proprio perché affatto utile per i lavoratori, anzi dannoso in quanto le giornate di sciopero non essendo pagate finivano per rendere più poveri gli operai. La legge n. 563 detta “sindacale” (non “fascistissima”, come scrive bankor, ma che vuoi farci…) proibì anche la serrata, che era il modo dei datori di lavoro per bloccare la produzione. Gli interessi di entrambe le figure, datori di lavoro e lavoratori, furono tutelate da un’apposita branca della magistratura, detta appunto Magistratura del lavoro, quindi dallo Stato. Secondo la mentalità dei fascisti, infatti, le istituzioni non dovevano occuparsi solo della giustizia civile e di quella penale ma anche di quella del lavoro, essendo questo un’attività di primaria importanza nella vita della comunità.

        • anonimo scrive:

          Sig Fantini
          Pare propio che i fatti di oggi le diano ragione. Mi sembra che tutto sia contro le classi più deboli, i salariati ed ad igiustizia si aggiunge ingiustizia. Chi può scappa in cerca di fortuna, altri arrivano depauperando la situazione, perche rimangono a carico di tutto. Le varie sigle sindacali, rappresentano se stesse e poco più. I partiti
          politici non sono oramai più rappresentativi. Le multinazionali se ne vanno quando vogliono. La giustizia è per ricchi per gli altri è la rovina economica, meglio stare alla larga….. Che devo dire…….i fatti sono i fatti e contro i fatti non si può argomentere , conviene tacere, altri mente uno passa da inutile chiaccherone.

        • bankor scrive:

          Illustrissimo Edoardo Fantini,
          la tracotanza che esprime nel rapportarsi con l’interlocutore, seconda solo all’ignoranza in materia politico economica del periodo fascista, le impediscono di leggere, o forse comprendere, quello che ho scritto nel mio ultimo post.
          Che l’italia fascista fù liberista lo ha scritto Lei, io invece ho semplicemente affermato che le politiche economiche del regime fascista dal 1922 almeno fino al 1927, ma volendo senza nemmeno grossi sforzi potremmo dismostrare anche fino al 1931, furono di inequivocabile e integrale impronta liberista e lo confermo pienamente.
          Facciamo una cosa le porti lei le prove documentali smentendo il fatto che, il professor De Stefani, economista e squadrista della prima ora, nominato ministro delle finanze e del tesoro dal 1922 al 1926, abbia applicato nei provvedimenti da lui intrapresi nel governo dell’economia italiana il manuale del liberismo più ortodosso.
          Si faccia aiutare, faccia anche qualche tresette al bar che, mi creda tiene la ram in allenamento.

          • Edoardo Fantini scrive:

            Quindi la politica economica del fascismo fino al 1927 insisti nello scrivere che fu “di impronta inequivocabilmente ed integrale liberista ” però che l’Italia fascista fu liberista lo avrei scritto io e non tu. E siccome mi chiedi le prove documentali a dimostrazione di quanto sostengo, cioè che il Ventennio non fu liberista, eccoti accontentato. “Io ritengo che il fascismo debba applicare gran parte delle sue energie all’organizzazione e all’inquadramento delle masse lavoratrici, anche perché ci vuole qualcuno che seppellisca il liberalismo. Il sindacalismo è l’affossatore del liberismo.” Benito Mussolini, Discorso al congresso nazionale del partito fascista, Il popolo d’Italia 22 giugno 1925. A questa dichiarazione seguirono la legge del 3 aprile 1926, n. 563 ed il suo regolamento attuativo del 1 luglio 1926, n. 1130. Queste due norme cancellarono dall’Italia il liberismo e furono in vigore fino al 1944 quando il governo Badoglio con il decreto n. 287 del 14 settembre le abolì. Questi, caro bankor, anche se non li conosci sono documenti che esistono da tanto, sai? Dai retta invece di parlare di storia vai a cercare gli asparagi che ti può riuscire meglio. Ma non ti allontanare troppo che sennò ti perdi…

  4. bankor scrive:

    Egregio Fantini,
    le politiche in ambito economico almeno fino al 1927 del regime fascista(cinque anni) sono di chiara, esclusiva ed inequivocabile impronta LIBERISTA, di cosa vuol parlare questo è un dato di fatto non c’è niente da dibattere, le prove documentali sono lì davanti agli occhi di chiunque sappia leggerle con tutti i provvedimenti presi fin dal 1922, prima con il ministro delle finanze De Stefani poi con il ministro Volpi, il resto l’abolizione del diritto allo sciopero, la deflazione salariale(taglio dei salari del 20%), la disoccupazione passata da trecentomila unità ad un milione del 1929 sono dati di fatto, bilancia dei pagamenti con l’estero in grave deficit strutturale quale conseguenza della rivalutazione artificiosa della lira(ottenuta con manovre monetarie restrittive), si facevano i falò con la carta moneta, non perdiamo tempo Fantini, mi dia retta, passiamo oltre

    • Edoardo Fantini scrive:

      Caro bankor, quindi secondo te e i documenti che hai letto (ma che ti guardi bene dall’indicare) il fascismo fu liberista. Dai retta, occupati d’altro che gli argomenti per te non mancano: il ballo liscio, la ricerca degli asparagi, la pesca di lago, il tressette al bar…

  5. simonetta michelotti scrive:

    ringrazio l’eretico per aver ricordato l’appuntamento su ernesto rossi… giusto giusto oggi nel 2007… a cui partecipò marco pannella.
    il merito di tale presenza fu di giulia simi e andrea francioni dell’associazione radicale ‘global democracy’.

  6. il senso del ridicolo scrive:

    ricapitoliamo: chi voglia capire cosa fu il fascismo lasci perdere De felice e legga i libri dell’odontotecnico di provincia fantini edoardo.

  7. bankor scrive:

    Edoardo, mi sei simpatico, e date le tue risposte confidenziali mi permetto di darti del Tu,
    le tue analisi storiografiche dilettantistiche(nel senso che studi per diletto) forse difettano di adeguate basi solide svincolate dall’ideologia, utili a poter discernere tra fantasia e realtà, del resto essendo la storiografia una manipolazione soggettiva ed interpretativa della realtà storica come poterti biasimare per questo.
    Tu parti e arrivi, la dichiarazione di Mussolini o la promulgazione di una legge diventano per te la prova provata di un processo storico per il compimento del quale occorrono mesi anni o decenni e che necessita di mille altri riscontri per poter essere capito a pieno titolo poichè dipendente da mille altre variabili. Vedi Mussolini, da quel fuori classe politico che era, ha dichiarato tutto e il contrario tutto, che le politiche economiche del fascismo siano state di chiara impronta liberista almeno fino al 1927 sono un dato di fatto reale anche perchè il contesto storico mondiale di quel periodo lo imponeva:
    libera iniziativa privata, libero movimento di capitali (banche private che raccoglievano il risparmio ma impiegavano anche i capitali finanziari direttamente in quote di società private tra europa e stati uniti senza separazione tra le due cose), libero scambio delle merci, stati sovrani che si limitavano(dove più dove meno) negli investimenti infrastrutturali e poi ne cedevano a privati la gestione, il tutto regolato “dalla mano invisibile del libero mercato”. Questo è stato il contesto storico economico mondiale che dal dopo guerra si è spinto fino alla crisi finanziaria del 1929 nel quale ha convissuto a pieno titolo l’Italia fascista. Cosa ci sia di così destabilizzante nell’affermare tutto questo diventa comprensibile solo se l’analisi storiografica viene distorta dal preconcetto ideologico.

    • Edoardo Fantini scrive:

      Bene bankor, vedo che agli asparagi e al tressette preferisci le ideologie e i loro conseguenti sistemi economici, continuando a farla fuori dal vaso. Addirittura dopo che mi hai chiesto documenti a riprova che il fascismo non fu liberista ed io te li ho segnalati, perseveri con la tua allucinazione. Che ti devo dire, tienila stretta la tua invincibile ignoranza, in fin dei conti confermi quello che del genere umano scrive lo psicologo Robert Baron: ognuno fa quello che è costretto a fare.

  8. bonkor scrive:

    No calma Fantini, io gioco al tressette, rigorosamente al bar, per l’ideologia onestamente sembri più portato tu.

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