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La domenica del villaggio: il Moro, fazioso, di Bellocchio (e 2 Ps)

Questa settimana, la rubrichetta cultural-domenicale del blog è dedicata, in maniera monografica, al film (e serie) di Marco Bellocchio sul Caso Moro, proposto da Rai 1 lunedì, martedì e giovedì scorso, dopo l’uscita di maggio in quel di Cannes; cosette da dire se ne avrebbero davvero a bizzeffe, visto che il Caso Moro – in particolare per chiunque abbia un minimo di passione (e di conoscenza) per la politica, per la historia ed il giornalismo di inchiesta – è una tappa a dir poco obbligata all’interno del proprio percorso di formazione culturale e civile. Vediamone almeno alcune.

 

UNA FICTION PREVEDIBILE (E TENDENZIOSA)

Dobbiamo fare una premessa: non originale – va pur detto -, ma del tutto necessaria. Ogni volta che milioni di persone si ritrovano a guardare un’opera che, fra le altre cose, li informa su passaggi complessi e drammatici della Storia patria, bisogna rallegrarsene, a prescindere; inutile girarci intorno: i giovani non sanno neanche chi fosse, Aldo Moro, e tantissimi quarantenni ne sanno poco più (cosa davvero triste); infine, anche tanti che pure in quegli anni erano bambini o ragazzi, ne hanno al massimo – da buoni analfabeti storici di ritorno – un pallido, esangue, ricordo: “ah sì, mi ricordo che tante mamme vennero a prendere i figli a scuola, per la paura che c’era” (elemento autentico ed assai significativo, peraltro).

In più, sulle qualità registiche di Bellocchio nulla quaestio, per non parlare della bravura degli attori, con un Fabrizio Gifuni, il quale, ormai, vive professionalmente una specie di simbiosi con il politico democristiano massacrato nel maggio del 1978; infine, errori storici marchiani ci pare che non ci siano: la consulenza di un valido giornalista come Giovanni Bianconi e di uno storico – il quale ha lavorato a lungo sulle carte di Moro -come Miguel Gotor, ha avuto la funzione che doveva avere.

Il tocco autoriale di Bellocchio – che inevitabilmente c’è -, con le sue divagazioni oniriche di rito, resta però confinato al dato puramente registico, mentre, a nostro immodesto parere, la ricostruzione – pur in generale filologicamente corretta, come appena detto – ha le sue pecche, e non da poco: da una parte, è prevedibile (forse inevitabile, su Rai 1 essendo), ma dall’altra la tendenziosità della ricostruzione affiora ad ogni piè sospinto.

Così come, a dirla tutta, la supponenza dello stesso Bellocchio, il quale – sul Venerdì di Repubblica dell’11 novembre, pag. 17 – ha dichiarato quanto segue (forse in un momento di profonda, francescana, umiltà): “sono tornato sul personaggio Moro dopo avere visto tanta roba brutta per il quarantennale”. Dopo (ma anche prima) di me – sembra dirci Bellocchio – il diluvio…

 

LA PEDAGOGIA CULTURALE DELLA RAI

Torniamo al discorso di Rai 1: sin dai tempi della vituperata – per tanti buoni motivi, sia chiaro fino in fondo – Democrazia cristiana, l’ammiraglia Rai cercava di creare una pedagogia di Stato, più che di fare ascolti (per decenni, in effetti, non ne aveva neanche bisogno, stante il perdurante monopolio).

Cambiano i tempi, ma anche nell’era digitale questo elemento sopravvive: in modo certo ben inferiore rispetto a prima, ma sopravvive; in più, a garantire la continuità dell’ammiraglia con il passato (anche del 1978!), c’è in loco don Bruno Vespa a presidiare: immarcescibile monumento al passaggio da un potere all’altro (nonché capace di emigrare come ospite anche dall’altra parte della “barricata”: venerdì sera Nuzzi, su Quarto grado, era in brodo di giuggiole, ad averlo in studio, stasera è da Giletti).

Siamo così al curioso paradosso: un prodotto della Rai (di ottima fattura tecnico-formale, lo ribadiamo), progettato in tempi ovviamente ben anteriori al 25 settembre 2022, va in primissima serata per tre volte a presentare un’impostazione di fondo del Caso Moro che è quella della vulgata di gran parte dell’intellettualità ex o post comunista (con lodevolissime eccezioni, fortunately).

La domanda delle cento pistole è dunque questa: siamo in un Paese davvero pluralista, aperto, polifonico, ovvero si tratta solo di una mera sfasatura temporale (film, per l’appunto, confezionato ben prima della vittoria della Meloni)? Per capirsi, al prossimo giro ci sarà una fiction su Moro affidata questa volta ad un regista di simpatie destrorse (ne fioriranno numerosi, di qui a breve, tranquilli)? Wait and see: ma lo scrivente teme fortemente per la seconda che ha scritto…

 

SIAMO ALLE SOLITE, VIA…

“Né con lo Stato, né con le Brigate rosse”, si usava dire, sussurrare, bisbigliare – perché urlare è roba da piazze – nei salotti radical chic (quando aveva senso definirli tali), fra gli esponenti di quella caviar gauche che non voleva schierarsi, mentre invece, assai responsabilmente, il Pci assumeva una coerente e granitica (più di quella democristiana) linea della fermezza (anche per rispetto degli agenti della scorta, massacrati quel 16 marzo 1978), con Pecchioli che faceva, senza inopportuni clamori, da trait d’union fra il Gotha democristiano e Luigi Berlinguer.

Ebbene, dopo avere visto il film-serie di Bellocchio, c’è da chiedersi se l’assunto “né con lo Stato, né con le Brigate rosse” sia solo un ricordo del passato remoto, e di quei salotti di una volta, oppure no: più che lungi da noi – lo ribadiamo – difendere la Dc, ma questa immagine manichea di un Aldo Moro – integro, intonso, ieratico -, circondato da colleghi psicopatici “bipolari e ciclotimici” alla Cossiga, ovvero privi di qualsiasi pietas alla Zaccagnini (lasciamo a parte il Giulio nazionale, che è effettivamente indifendibile per molti aspetti), è una ricostruzione che non sta né in cielo, né in terra.

La Dc, in quell’occasione, fece la scelta giusta, sacrosanta (salvo poi sputtanarsi con il Caso Cirillo, ma quella è storia successiva): lo Stato non doveva in alcun modo trattare, doveva sic et simpliciter ritrovare Moro e salvarlo, punto e basta. Che non siano bastate neanche le sedute spiritiche, per farlo, è un altro fatto: chi ha un po’ di memoria, avrà ben capito.

L’impressione però è proprio che Bellocchio – al pari di ciò che aveva già fatto nel lontano 2003 con il suo “Buongiorno, notte” – resti in mezzo al guado: un po’ meno accondiscendente con i brigatisti rossi, certo – siamo su Rai 1, suvvia -, come detto anche a Repubblica (nel 2003, gli stragisti gli erano “più vicini in senso temporale, avevamo vissuto spalla a spalla”, capito?); ma siamo pur sempre al “né con lo Stato, né con le Br”.

A pagare il prodotto, ed a gonfiare ulteriormente il bellocchiano portafoglio, però, questa volta è lo Stato, sia detto per inciso: non più MPS, con le sue pubblicità con colonna sonora di Rino Gaetano, come ai bei tempi in cui imperava Giuseppe Mussari; questa, però, è decisamente un’altra storia, comunque pur sempre italiana…

 

Ps 1 Ci ha lasciati, nelle scorse ore, Gianni Bisiach (l’età c’era tutta, intendiamoci); lo potremmo definire il Piero Angela della Historia, per la sua capacità divulgativa in questa così complessa disciplina. Come a tutti i divulgatori seri, dobbiamo un plauso aprioristico: in una Nazione di ignoranti – rectius: di ignoranti spesso anche presuntuosi – quelli come Bisiach sono degli autentici missionari.

Ps 2 Festival pasoliniano – diretto da Francesco Ricci – alla settimana conclusiva: domani si parlerà della religiosità di Pasolini, con lo scrivente, Federico Frati e il relatore Achille Mirizio a discettare: l’appuntamento è nella magnifica Sala storica della biblioteca Comunale, alle 17,30 come per gli altri appuntamenti.

12 Commenti su La domenica del villaggio: il Moro, fazioso, di Bellocchio (e 2 Ps)

  1. Ics scrive:

    Siamo sempre lì: ameri-cani cattivi & compagni che sbagliano.
    Gli stessi che si inalberano se si festeggia la ricorrenza della caduta del muro di Berlino.

    A suo tempo avere un partito comunista importante aveva anche la sua utilità: rendeva il paese contendibile garantendo una ricchezza la cui rendita stiamo ancora sfruttando

    Nei tempi attuali siamo ai residuati storici che poco aggiungono e probabilmente molto tolgono

  2. Gabriele Maccianti scrive:

    Direi di disgiungere gli elementi di giudizio su “Esterno notte” tra quelli estetico-artistici e quelli storico-politici.
    Sui primi applausi. Avevo visto la serie in sala in primavera e l’ha rivista con altrettanto piacere sul piccolo schermo. Notevoli le interpretazioni e la colonna sonora, belle e accurate le ricostruzioni (senza la sciatteria che oggi imperversa nel cinema italiano).
    Sui secondi sarei più cauto, e non di poco. Del resto l’interpretazione di Bellocchio sulla vicenda Moro non è – e non può essere presa – come un documento storico: è la “sua” interpretazione di quei tragici fatti. Ci sono assenze pesanti: l’ambiguo ruolo dei servizi è solo accennato; mancano le scene degli interrogatori nella “prigione del popolo” nei quali i brigatisti cercavano da Moro le impossibili prove dell’esistenza del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali); manca La Malfa; è eccessivamente grottesco il mondo dei notabili DC. E si potrebbe procedere. Tuttavia quel che c’è (e qui, come ha scritto bene Raffaele, si vede la mano di Gotor e Bianconi) sta in piedi.

    Vorrei però soffermarmi su un aspetto interpretativo di quella drammatica vicenda assai in voga in molti circoli italiani (e condivisa anche da Bellocchio, direi) e sul quale sono invece assai dubbioso. Ovvero sull’assunto che la morte di Moro abbia bloccato un percorso che avrebbe condotto il Paese verso un destino diverso da quello (tutt’altro che eccelso) che ha poi conosciuto. Ecco, su questo punto – esprimo la mia opinione senza la presunzione di enunciare chissà quale verità – dissento: le culture comunista e democristiana non potevano convergere più di tanto (e, in ogni caso, per un periodo di tempo limitato. Matrici troppo diverse e forti condizionamenti esterni (e interni) a cui i gruppi dirigenti dei due partiti erano sottoposti avrebbero impedito il successo del tentativo (potremmo leggere le odierne magagne del Pd “anche” come figlie della difficile fusione di queste due culture: sebbene siano passati più di quarant’anni, ed sia cambiato il mondo da allora!). Per condizionamenti interni alludo alle comprensibili, reciproche diffidenze, delle basi degli iscritti e dei simpatizzanti delle due forze politiche aspramente contrappostesi per decenni (e per la Dc anche del mondo economico): ne ho un ricordo diretto, seppur da adolescente; per condizionamenti esterni a quelli delle potenze esterne che influenzavano l’azione politica dei due maggiori partiti, Unione Sovietica per il Pci, Usa e Vaticano per la Dc (dolorosa, per me, la scena, tutt’altro che irreale, di Moro genuflesso davanti a Paolo VI). Ecco, su questo punto si che occorrerebbe un bel dibattito: ma inteso non tanto per screditare la parte … che non ci piace, ma piuttosto per cogliere gli imbarazzi, il disagio e le difficoltà del mondo cattolico e di quello marxista nell’ereditare e nel gestire la memoria storica di un Paese/Nazione costruito da altri e di quanto questi elementi abbiano pesato sulla costruzione dell’architettura repubblicana.
    In ogni modo, e comunque la si pensi, ben venga il dibattito sul caso Moro.

    • Eretico scrive:

      Caro Gabriele,
      grazie dell’articolato intervento, ad adiuvandum rispetto a quanto da me scritto ieri, e soprattutto di stimolo per un eventuale dibattito bloggeristico sul Caso Moro, il quale sarebbe senz’altro proficuo.
      Concordo totalmente – anche perché,in effetti, l’avevo già scritto nel mio pezzo – sulla necessità di scindere i due piani: quello prettamente cinematografico, da quello storico.

      L’eretico

    • Alberto Bruttini detto "il Cacaccia" scrive:

      E’ sempre un piacere leggerti Gabriele

  3. UNO DI STROVE scrive:

    Anche io leggo volentieri Gabriele Maccianti (quasi con lo stesso piacere con il quale leggo l’Eretico, via), però gli suggerisco di riflettere che – circa 30 anni dopo il Caso Moro – l’abbraccio fra Dc (cattocomunista) e Pci (allora Ds) c’è stato: se sia stato un bene o un male ognuno ha la sua idea, ma l’abbraccio c’è stato. Moro e Berlinguer, nel 1978, stavano lavorando su e per quello. Gli amici americani nel 2006 non batterono ciglio, anche perché i vari D’Alema e Veltroni, per legittimarsi, avevano dato ampia prova di atlantismo (vedasi il bombing su Belgrado nel 1999). Esattamente come oggi sta facendo Giorgia Meloni.

    • Anonimo scrive:

      L’abbraccio è potuto avvenire solo immolando i valori classici della sinistra (e sopratutto dopo la fine dell’urss)

      • Paolo Panzieri scrive:

        Caro ANOINIMO,
        mi piacerebbe proprio capire quali sarebbero questi “valori classici” e soprattutto a quale “sinistra” fai riferimento.
        Se per sinistra intendessi il PCI ed i suoi epiloghi, infatti, a parte il cambiamento di modello (nel solco della sua endemica eterodossia) da URSS ad USA (rigorosamente sponda DEM), direi che invece siamo perfettamente il linea coi precedenti storici (classici appunto) di Ungheria e di Praga, ma non solo.
        Ha perfettamente ragione, invece, UNO DI STROVE quando indica come padri putativi del PD, nel bene e nel male, Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.
        Ma fu poi vera gloria?
        Ai postremi l’Adua sentenza.

        • Anonimo scrive:

          Ovviamente faccio riferimento al Pci di quegli anni, un partito comunista, marxista, ancora in gran parte filosovietico, probabilmente ancora fibanziato da Mosca in piena guerra fredda. In quelle condizioni un partito così non avrebbe mai potuto e dovuto andare al governo in un paese nato. Ciò è stato possibile solo con la fine dell’Urss e della guerra fredda.

  4. UNO DI STROVE scrive:

    Caro Anonimo,hai perfettamente ragione, ma in un blog come questo (al cui interno ci sono commenti e commentatori di un certo spessore, oltre all’ottimo Eretico) mi sembrava che scrivere della caduta del Muro di Berlino fosse una cosa piuttosto scontata, per motivare il non dissenso USA alla nascita del Pd rispetto alla contrarietà maturata verso l’abbraccio mortale Pci-Dc…

    • Pierpaolo scrive:

      La Sinistra in Italia è pienamente rappresentata nei valori dal Sig. Soumahoro.

      • ginocacino scrive:

        … oramai siamo arrivati a questo infatti! la Sinistra in Italia? ma dov’è nel panorama politico la sinistra in Italia? o perlomeno la sinistra come alcuni trinariciuti come me intendono

        aveva ragione uno dei commentatori (mi pare l’avvocato Panzieri) e a lui mi associo in quel che ha scritto qualche giorno fa commentando un altro post e che riporto con parole mie (più o meno il senso era questo)

        “con questa sinistra e questi personaggi che politicamente la rappresentano, la Meloni può dormire sonni tranquilli e fra molti più che i canonici “due guanciali”

        un saluto all’Eretico e ai lettori del blog

  5. Chicchero scrive:

    Alzi la mano chi come me aveva votato per privatizzare la rai. Referendum tra l’altro proposto da Bossi, prima che i leghisti capissero che tornava comodo anche a loro piazzare i propri uomini a spese nostre. Con buona pace della volontà popolare.

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