Eretico di SienaIran, 5%, Bezos: la paliata internazionale (con Gay Pride annesso) - Eretico di Siena

Iran, 5%, Bezos: la paliata internazionale (con Gay Pride annesso)

Ultimissimo pezzo di giugno, vergato giusto il 30 sera. A Sienina, ovviamente, impera la questione paliesca – della quale ci siamo appena occupati, e su cui torneremo, a bocce ben ferme, nel prossimo fine settimana -, ma il blog vuole offrire come sempre qualche spunto sulla “paliata internazionale” cui abbiamo assistito in questi giorni: tutta di portata che potremmo azzardare storica; robetta su cui discettare, ve ne è, dunque, anche troppa, ergo abbiamo scelto tre cosine davvero irrinunciabili…

 

LA (STRANA) GUERRA DEI 12 GIORNI

Diciamocela proprio tutta, dall’alfa all’omega: la cosiddetta Guerra dei 12 giorni fra Israele (con gli USA in un secondo tempo) ed Iran è stata davvero strana, e lo scriviamo – i lettori abituali ben lo sanno – da anticomplottisti convinti, anzi convintissimi.

In ogni caso, partiamo dalla fine di questi 12 giorni, e vediamo di fare il punto: per intanto, non si tratta certo di Pace, ma di un cessate il fuoco, di tregua insomma (che, secondo l’Iran, è già a forte rischio); in più, tutti e tre i contendenti gridano sfacciatamente alla vittoria, perfino la Guida spirituale (e politico-militare) Khamenei: davvero curioso, no? Sembra di essere alla sera dello scrutinio di una qualsivoglia elezione italiana, sic…

L’obiettivo minimo del tandem Israele-USA era lo smantellamento totale dell’arsenale nucleare iraniano: senza ma e senza se; nonostante i proclami trumpiani e dell’adrenalinico Hegseth di turno, pare che – anche da fonti terze, Aiea e non solo – il programma atomico sia stato invece assai danneggiato, ma non certo compromesso, e comunque – giusto poche ore fa – gli iraniani hanno detto che l’arricchimento dell’uranio continuerà (erano al 60%: un bel pezzo avanti, per capirci).

Il cambio di regime, poi, quello non c’è proprio stato tout court, nonostante ad un certo punto uno degli sbandamenti trumpiani su X lo avesse esplicitamente evocato. Purtroppo – come sempre succede quando un dittatore resiste ad attacchi esterni – la sua figura rischia financo di rafforzarsi; di certo, la repressione contro gli oppositori si sta drammaticamente intensificando, ed il popolo degli antiregime – anche a causa di Internet e bancomat bloccati al momento giusto – non si è mobilitato per niente, durante quei giorni. Il Premio Nobel Ebadi – ieri, sul Corriere della sera – ha giustamente detto che il regime change non può arrivare grazie alle bombe, ma deve arrivare per la mobilitazione del popolo: le uniche piazze piene, però, sono state, in questo caldissimo giugno, quelle dei filodittatura, compreso il ben orchestrato funerale collettivo di sabato a Teheran.

E fra quei morti ammazzati da Israele, negli altissimi ranghi dei pasdaran, pare che non pochi fossero potenziali successori della Guida suprema: di qualcuno di loro, si dice stesse già complottando contro Khamenei. Voci impossibili da verificare, va ovviamente detto.

Insomma, con grande rammarico di chi sperava che il popolo iraniano, prendendo l’abbrivio dal contesto, potesse abbattere la dittatura (come si era auspicato lo scrivente), che dire, se non che non è andato proprio tutto bene?

 

5%: ATTENTI A NON FAVORIRE PUTIN…

La questione della spesa militare europea è – inutile minimizzare o nasconderci il problema – uno snodo politico (e storico, e geopolitico, e per l’appunto militare) di importanza cruciale per il futuro dell’Europa e dell’Occidente tutto.

Come di consueto, la italica discussione si è polarizzata fra curve: a Sinistra, in grandissima parte (con l’esclusione dei riformisti del Pd e di Calenda) si è contrari, con Conte sempre più in versione centro sociale, con la motivazione che il riarmo è una bufala sesquipedale, giacché Putin mai e poi mai attaccherebbe l’Europa (andassero a dirlo ai baltici, ai polacchi ed ai finlandesi, chissà cosa gli risponderebbero); dall’altra, la Destra governativa – con la Lega as usual piena di distinguo, per non disturbare troppo Putin – è a favore, cercando di strappare correttivi, come quello – certo, non da poco – di spalmare il mega aumento in una decade.

Aggiunto che le spese effettivamente militari sarebbero il 3,5% – con il restante 1,5% destinato a cose un po’ generiche e fumose (conoscendo l’Italia, non si può escludere che vada a finanziare qualche sagra di paese, se abbinata a qualcosa di infrastrutturale) -, resta il fatto che si tratta davvero di una montagna di euroni, la quale montagna non può non avere effetti sul Welfare italiano, a partire dalla Sanità (cosa negata dalla Premier: ma la si vede bigia, in questo senso).

Carlo Cottarelli è una figura di cui lo scrivente si fida (di certo più che di Conte: pensate se il governo italiano fosse stato affidato a lui, nel 2018; il Covid – per dirne una – sarebbe stato affrontato meglio o peggio?); intervistato il 27 giugno da Il Fatto – non a caso, certo -, ci offre un dato comparativo assai stimolante: l’ultima volta che l’Italia arrivò al 3,5% per la difesa, correva l’anno 1954; pienissima Guerra fredda, e Guerra di Corea appena finita. L’Unione sovietica aveva il 54% della popolazione della Nato, oggi la Russia ha il 16% della popolazione complessiva dei 32 Stati della Nato. La posizione cottarelliana, quindi, è questa: riarmarci sì, eccome (come ci si può fidare degli USA, oggi?), ma occhio a non esagerare, insomma.

Anche perché, alla fine, se si andasse a toccare lo Stato sociale in modo davvero pesante a favore degli armamenti, si rischierebbe di fare saltare – in molti Paesi europei – la pax sociale oggi vigente, per quanto già pencolante: in Italia, saremmo fa i primi a rischiare sodo, visto il tasso di “amore” per la Russia putiniana – la quale continua a martellare con missili balistici e droni iraniani la “martoriata Ucraina”, comprese queste stesse ore – di tantissimi connazionali.

In questo modo, ottenendo la definitiva lacerazione politica e sociale delle Nazioni europee, il liberaldemocratico Vladimir vincerebbe, sul fronte europeo, senza neanche dovere fare massacrare i suoi soldati come oggi in Ucraina…

 

BEZOS E I SEPOLCRI IMBIANCATI

“Se Venezia avesse bisogno del lancio di Bezos, Bezos stesso non la avrebbe mai scelta come meta del suo matrimonio”, ha scritto Mattia Feltri sulla prima pagina de Il Giornale di sabato: una delle considerazioni più sensate lette in questi giorni sul matrimonio-evento del quarto uomo più ricco del mondo.

Tante volte ci fossero dei dubbi: più del matrimonio di Bezos, mi interessa assai il suo futuro divorzio (per quanto schermato da accordi prematrimoniali a prova di bomba, pare); e considero – con scarsa originalità, lo ammetto – questo matrimonio la quintessenza del kitsch, della più prevedibile scontatezza, nonché un pessimo esempio per i giovani (ma il buon Jeff – giustamente, dal suo punto di vista – se ne strafrega, non avendo la vocazione del pedagogo).

Il fatto è che le nozze di Bezos e della gentile consorte (“come Natura fa, Cirio conserva”, recitava un celebre spot, illo tempore) sono solo la ciliegina finale dell’overtourism di Venezia e del Canal grande. Venezia –  all’interno del suo meraviglioso centro storico – aveva, fino a pochi decenni or sono, circa 150mila abitanti (!), mentre oggi i veneziani residenti sono più o meno 50mila: e non c’è stata la Peste nera o chissà cosa altro, a farli andare via. Colpa precipua dei veneziani (di quelli, proprietari di immobili, che si sono comportati in tal modo) i quali – affittando ai turisti, purché paganti – hanno fatto lievitare i costi degli immobili e della vita in generale, rendendo la città un luogo per ricchi. Punto e basta.

Fra coloro che hanno contestato Bezos, quindi, poteva alzare la voce – anche giustamente, e per vari motivi – solo chi aveva l’esperienza pregressa, dunque l’autorevolezza, per poterlo e doverlo fare; gli altri – gli antiBezos dell’ultimissima ora – proprio no. Potevano anche restare a casina, che fosse a Venezia o Mestre.

E ribadisco, nel finale, ciò che si è scritto tante altre volte in questo blog: Venezia, Roma, Firenze (anche Genova, Napoli, Torino, Milano); e Sienina? Siamo ancora una volta l’isola felice, di grazia?

Ps Gay Pride di Budapest, sabato scorso: giusto polemizzare su Orban, e davvero intollerabili certe sue uscite, oggettivamente omofobe; bene hanno fatto – a mio parere, si capisce – i Partiti di opposizione a presenziare. Mentre malissimo ha fatto la Schlein ad andare di persona (il leguleio pugliese, non a caso, se ne è tenuto ben lontano, limitandosi a mandare una scarna delegazione): la Segretaria del Pd non ha ancora capito che, in politica – se vuoi sperare di vincere – ci sono cose anche giuste e belle, rispetto alle quali bisogna fare un personale passo indietro. Perché sono per l’appunto belle e giuste, ma urtano la sensibilità di tanti moderati, dei quali a meno sic et simpliciter non puoi fare, nel segreto dell’urna elettorale: tu chiamala se vuoi, realpolitik.

Ma Elly, pure tanto intelligente e comunicativa, sembra non arrivare proprio a capirlo: non ce la fa, ormai è chiaro; e la Meloni, da par suo, può ancora una volta concedersi un buon bicchiere in più di rosso, per festeggiare cotanto cadeau della sua competitor. Come peraltro fece Togliatti – a proposito di Budapest – quando seppe, nel 1956, dell’arrivo dei carri armati sovietici nella Capitale magiara…

3 Commenti su Iran, 5%, Bezos: la paliata internazionale (con Gay Pride annesso)

  1. UNO DI STROVE scrive:

    Caro Eretico, davvero complimenti per il tuo ultimo pezzo: sfornare un articolo di ampio respiro internazionale durante i 4 giorni di Palio non è da tutti.
    Da buon gazzilloro, io leggo anche la stampa della Provincia, e stamattina ho letto che il Comune di Castelnuovo Berardenga ha esposto la bandiera della Palestina. Scelta che potrebbe anche essere giusta, vista la quotidiana strage che avviene lì per colpa dell’esercito israeliano, che dà l’idea di sparare nel mucchio. Non capisco però come si possa esporre la bandiera palestinese, e non quella ucraina. Come hai scritto tante volte, è sempre più evidente che i proiettili e le bombe israeliane entrano nell’occhio parecchio più di quelle russe, non saprei cosa altro aggiungere…

    • Gp scrive:

      All’ucraina l’ue ha mandato 120 miliardi di aiuti, fra cui diverse vagonate di armi. Alla palestina qualche sacco di farina mentre le armi le mandavano ai loro carnefici. Crede che gli ucraini vorrebbero fare a cambio o che interessi loro qualcosa delle bandiere appese dai comuni italiani?

  2. Paolo Panzieri scrive:

    Io credo che la guerra dei 12 giorni sarà uno di quei momenti nei quali la storia volta pagina, ma non per l’improbabile cambio di regime in IRAN.
    La democrazia non si può esportare con le bombe come purtroppo hanno dimostrato Bush, Clinton ed Obama.
    Il vecchio Trumpone, putroppo non è Ronald Reagan, che ha dissolto l’URSS senza sparare un colpo, ma non è nemmeno il cretino che la stampa embedded (quelli che ci assicuravano che Biden era perfettamente compos sui) e non solo ci vorrebbe rappresentare.

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